La coinquilina di Luca Materazzo: «Così ho vissuto tre mesi al fianco di un assassino»

La coinquilina di Luca Materazzo: «Così ho vissuto tre mesi al fianco di un assassino»
di Paola Del Vecchio
Venerdì 5 Gennaio 2018, 08:26 - Ultimo agg. 6 Gennaio, 10:19
5 Minuti di Lettura

Siviglia. «Ancora non riesco a muovermi per casa senza provare terrore. Ho vissuto per tre mesi con un assassino. Se Luca è stato capace di fare quello che ha fatto a un suo familiare, a suo fratello, immagino ciò che avrebbe potuto fare a me, dormendo dietro la porta accanto». Fra tutte le persone entrate in contatto con Luca Materazzo durante la sua lunga latitanza a Siviglia, Andrea Varela Marquez è la più sconvolta dalla scoperta che l'amico della porta accanto è accusato di omicidio. Venti anni, grande bellezza mediterranea, Andrea lavora come barista nella discoteca Utopia di Siviglia. Ed è stata la coinquilina di Luca Materazzo nella stretta palazzina su due livelli, in Calle Tetuan, nel quartiere popolare del Cerro del Aguila fino alla sera del 30 dicembre, quando il ricercato napoletano ha lasciato il suo rifugio nella «barriada» - cemento abusivo, case occupate da famiglie gitane e pusher della droga, distante anni luce dai luminosi saloni dei piani alti di viale Maria Cristina di Savoia - per mendicare ospitalità a Miguel Meza, un amico. «No non ho avuto una relazione con Luca, non mi sono mai fidata di lui, è un tipo strano, ma non immaginavo fosse un criminale», assicura Andrea. Quando è stato fermato nel bar La Terraza dove lavorava, nell'Avenida Ramon y Cajal, dieci minuti a piedi da calle Tetuan, la primula rossa partenopea aveva in tasca non la sua carta di identità, ma il Dni di Andrea. «L'avevo perduto per le scale un mese fa, portando fuori la spazzatura e, per fortuna, avevo denunciato la scomparsa. Due giorni fa ho scoperto che lo aveva raccolto Luca e tenuto per sé, forse per acquistare biglietti di treno o autobus, per i quali si esige un numero di identificazione», giura la ragazza. Che, dopo un lungo silenzio e non senza reticenze, si è decisa a raccontare la sua verità. Sulla quale indaga ora la polizia spagnola.

Come è arrivato Luca a vivere in casa sua?
«L'appartamento è di mio padre Carlos, e credo che Luca l'abbia aiutato nei mesi scorsi a ristrutturarlo. Quando io mi sono trasferita tre mesi fa, da Ibiza dove vivevo, lui era già qui, nella stanza al piano terra, ci viveva da mesi».

Come pagava l'affitto se al bar La Terraza Luca lavorava praticamente gratis? In precedenza aveva fatto l'operaio edile per suo padre?
«L'aveva aiutato nei lavori. Non so che accordo avessero, ma non intendo di parlare di mio padre. Luca diceva che, per servire ai tavoli tutto il giorno, gli davano una miseria, dieci euro in tutto».

La sua famiglia è di Dos Hermanas, un paesino vicino Siviglia?
«Sì».

Anche i poliziotti che hanno arrestato Luca gli hanno chiesto se aveva vissuto a Dos Hermanas prima di arrivare a Siviglia, e lui ha assentito, per poi ammettere la sua identità.
«Ripeto, non risponderò su questioni che riguardano la mia famiglia e tantomeno parlerò di mio padre Carlos. Luca era uno che non amava parlare di sé. A me aveva detto di essere originario di Napoli, orfano, di avere una sorella con cui non parlava più. E mi ha mostrato il suo biglietto da visita, di avvocato».

Perché non si fidava di lui? Ha mai provato ad approfondire l'amicizia?
«Sì, all'inizio. Lui era molto gentile e amabile. Una sera siamo usciti assieme, con mia cugina Raquel e il suo amico, Miguel, ma è stato da allora che ho cominciato a prendere le distanze e a mettere i paletti. Io sono una ragazza diretta, una persona franca, trasparente. Lui cercava invece sempre di fare di tutto per riuscire simpatico. Qui usiamo baciare gli amici sulle guance, ma lui era un continuo cercare una scusa per abbracciarti, elargire strette di mano a destra e a sinistra. Io l'ho sempre tenuto a distanza, perché aveva un che di artificiale, con quel suo sguardo che a volte ti fissava gelido, mentre con la mente era altrove. Un pignolo, un tipo ossessionato dall'idea di avere tutto sotto controllo. Non mi sembrava uno che la raccontasse tutta...».

 

Per esempio?
«Era gentile fino a essere servile, ma poi aveva una bella faccia tosta. Un giorno è venuto in cucina a chiedermi se potevo dargli da mangiare. Un altro arrivò a domandarmi se avessi preso una mela dal cestino dove ne aveva contate 7 e ne mancava una. Pensai: ma come si permette, in casa mia? Era forse un modo per attaccare bottone, ma mi inquietava. Ho evitato anche che venisse alla discoteca dove lavoro. Mi chiedeva continuamente se potevo aiutarlo a cercare un posto in cui guadagnare un po' di soldi. Mi sembrava strano per uno che diceva di essere avvocato, perché non viveva della sua professione?».
Aveva amicizie particolari, una fidanzata?
«In tutti questi mesi non l'ho mai visto venire a casa con una ragazza».
Perché a fine dicembre ha deciso di andarsene?
«Credo che mio padre gli abbia detto che doveva vendere casa e che doveva fare le valigie. È stato due giorni prima che l'arrestassero, con in tasca il mio documento di identità. Se penso di aver vissuto assieme a un assassino, mi tremano ancora le vene ai polsi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA