"Lasciateci perdere" di Gabriele Salvatores a Napoli: «È più una seduta di psicanalisi»

Gabriele Salvatores alla Feltrinelli di Napoli parla di intrighi, aneddoti, grandi amori e il prossimo film Napoli-New York scritto in napoletano senza sottotitoli

"Lasciateci perdere" di Gabriele Salvatores a Napoli: «È più una seduta di psicanalisi»
di Valentina Bonavolontà
Martedì 21 Novembre 2023, 14:59 - Ultimo agg. 15:18
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Lasciateci perdere”, nell’idea originaria il titolo di “Mediterraneo”è il primo libro di Gabriele Salvatores, regista premio Oscar nel 1992, scritto con la giornalista Paola Jacobbi.

Ventuno capitoli più una parentesi astrologica in cui il regista ripercorre con ironia – e straordinaria onestà – vita e carriera. L’infanzia, la decisione di far cinema a partire da una diagnosi che più nera non si può (leucemia: si scoprirà poi che era policitemia), i film più amati (Io non ho paura e Nirvana), quelli più sottovalutati (Educazione siberiana), i più tormentati (Denti, “un film depresso”, Amnesia, “figlio del Prozac”), quelli mai realizzati (Il cromosoma Calcutta, dal romanzo di fantascienza di Amitav Ghosh, e Anna, che Niccolò Ammaniti volle girarsi da solo). E ancora l’amore con Rita, ex moglie di Abatantuono, i tre anni di crisi curata dall’astrologo di Marisa Laurito, gli scazzi: quello doloroso con il produttore Maurizio Totti, quello inspiegabile con Sergio Rubini (“Mi ha ghostato”), quello mai avvenuto con Abatantuono, appunto, che non se la prese per il “ratto” della moglie, sul set di Marrakech Express. Al montaggio del suo prossimo film, Napoli New York (“Uno dei miei ultimi film – scrive – quanti altri set avrò la forza di dirigere?). 

Questo e molto altro nel libro di memorie di Gabriele Salvatores, presentato ieri alla Feltrinelli di Napoli con la preziosa collaboratrice Paola Jacobbi e la giornalista Titta Fiore.

«Lasciateci perdere è un titolo che ha tre valenze. Lasciateci stare, chiaramente. Poi lasciate che ci perdiamo, lasciateci esplorare il mondo e inventare nuove forme di creatività. Però ora quel ’Lasciateci perdere’ torna come invito sottovoce a "lasciateci essere perdenti, lasciateci il diritto di fallire» - spiega Salvatores.

Lasciateci perdere, titolo provvisorio del film “Mediteranneo” che nel 1992 ha vinto l'Oscar come miglior film straniero, è un viaggio nel tempo attraverso storie e sentimenti in cui ognuno di noi potrà̀ riconoscersi.

Quel “ci” è riferito a una generazione, quella di Salvatores, cresciuta negli anni del boom economico e protagonista dei movimenti del 1968.

«Non sarei stato in grado di scrivere un’autobiografie, direi più che è una seduta di psicanalisi. Devi immaginare una situazione colloquiale, a cena con degli amici, a parlare del nostro tempo, di ciò che abbiam attraversato, dei ricordi. Infatti non segue alcun percorso cronologico, ma procede per associazioni. Racconto della mia famiglia, degli aneddoti legati al cinema e gli attori, di tutto ciò che ho portato dietro da Napoli» - continua Salvatores.

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Sulla copertina un Gabriele come giovane rockstar, chitarra e capello lungo, quando la musica era la sua principale aspirazione.

«A me interessava far emergere la personalità di Gabriele, che sta dentro e fuori le esperienze artistiche. Composta da passioni, impulsività, la passione per la musica, dalla paura della solitudine.  – racconta la giornalista Paola Jacobbi - Una cosa che sicuramente emerge è la mancanza di smania del successo, questo rapporto molto dialettico con la vittoria. Poi viene visto come un uomo controllato, zen, ma sbobinando sapete quale è la parola che Gabriele ha pronunciato di più? Ansia».

Gabriele Salvatores alla Feltrinelli di Napoli sembra parlare a degli amici, seguendo nessun copione. Racconta di vecchi amori, saluta due attori in sala (Dea Lanzaro e Antonio Guerra) del suo prossimo film, “Napoli – New York”, scritto in napoletano senza sottotitoli «perché il napoletano è una lingua, non un dialetto», racconta di tutto ciò che Napoli gli ha dato e di quando fu portato via dal palco degli Oscar per aver fatto una dichiarazione politica. «Da ingenuo non credevo che la pace fosse una questione politica. Poi parliamoci chiaro: l’Oscar è stata una botta di culo. “Lanterne Rosse” era un film molto più bello».

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