Napoli, gli amici di Genny Cesarano sapevano
ma hanno taciuto sui quattro killer

Napoli, gli amici di Genny Cesarano sapevano ma hanno taciuto sui quattro killer
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 20 Gennaio 2017, 08:44 - Ultimo agg. 21 Gennaio, 17:32
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Esultarono quando videro la sagoma di una persona barcollare e cadere a terra. Furono soddisfatti quando videro un gruppo di una decina di persone disperdersi per la paura, sotto i colpi degli spari - 24 colpi esplosi da tre pistole - con la fuga nei vicoli o dietro le auto in sosta. Poi, una volta al cospetto del boss, i killer mimarono la sparatoria, contenti per aver risposto al fuoco nemico con un morto nel regno avversario. Una scena raccontata dal boss pentito Carlo Lo Russo, che ha ricostruito le fasi decisive dell'agguato costato la vita del 17enne Gennaro Cesarano, consentendo una clamorosa svolta nelle indagini sul delitto consumato il sei settembre del 2015.

Alba di paura e morte, un ragazzino ucciso, oggi c'è una risposta decisiva sul piano giudiziario, che va raccontata a partire da una premessa: Genny non era il bersaglio dell'agguato e non era implicato in vicende criminali. Anzi: fu ucciso per errore, in una sventagliata di colpi finalizzata ad incutere timore nel territorio del boss Piero Esposito (che sarebbe stato ammazzato due mesi dopo, più o meno dagli stessi killer).
 


Ma proviamo a capire come andarono i fatti in quello scorcio d'estate di due anni fa. Ad uccidere Genny furono Antonio Buono, Luigi Cutarelli, Ciro Perfetto, Mariano Torre, almeno secondo quanto emerge da una misura cautelare firmata dal gip Francesca Ferri. Indagini condotte dai pm Celeste Carrano, Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock, sotto il coordinamento dell'aggiunto Filippo Beatrice, la svolta con il pentimento del boss Carlo Lo Russo.

In sintesi, quella notte ci fu un botta e risposta tra due clan in guerra: verso le due di notte, il boss Piero Esposito (con il suo gruppo di killer) andò a sparare (tecnicamente una «stesa») in via Ianfolla, all'esterno dell'abitazione del boss Lo Russo (fresco di scarcerazione). E immediata fu la risposta: sarebbero stati Cutarelli e gli altri a chiedere una reazione a botta calda, con la benedizione del boss e il via libera ad uccidere. Scenario e retroscena a cui la Dda arriva nonostante il silenzio di un intero spaccato metropolitano. Anzi. Con il silenzio degli amici ci Genny, quelli che erano accanto a lui nella sua ultima notte di vita, che fecero perdere le tracce.
 
 

Ci sono voluti mesi di lavoro e una microspia piazzata nell'auto giusta, quella di un incensurato, per capire chi fossero gli amici di Genny. E per verificare che la loro conoscenza dei fatti di quella notte era più estesa di quanto ciascun teste ha dichiarato al pm. Omertà, silenzi, reticenza da parte di soggetti che nei giorni successivi la morte del ragazzino partecipavano a fiaccolate e cortei in memoria di Genny, gridando all'assenza dello Stato. Ha spiegato ieri il questore Guido Marino: «Li abbiamo dovuti snidare uno per uno e anche quando sono stati convocati in Questura si sono dimostrati reticenti. Una reticenza spregevole - insiste - eppure quei ragazzi erano accanto a Genny quella notte, hanno preferito tacere anche su cose evidenti, piuttosto che sostenere il nostro lavoro». Stesso concetto, anche se con espressioni diverse, da parte del procuratore Giovanni Colangelo: «La risposta da parte dello Stato c'è stata e lo dico con una particolare commozione. L'omicidio di Gennaro Cesarano ha turbato l'opinione pubblica, ha toccato anche noi, ora siamo convinti di stare nella direzione giusta. Quanto alla reticenza degli amici della vittima, resto anche io perplesso: non chiedo eroi, non chiedo martiri, ma almeno un senso della legalità partecipata e responsabile, costruita giorno per giorno. Una volta che ti abbiamo individuato e convocato, non puoi sfuggire ai tuoi doveri». 

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