Lupara bianca per vendetta d'amore,
lady camorra e l'ultima bugia alla figliastra

Lupara bianca per vendetta d'amore, lady camorra e l'ultima bugia alla figliastra
di Mary Liguori
Venerdì 20 Dicembre 2019, 06:30 - Ultimo agg. 11:49
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Ci sono posti destinati a scrivere la propria storia col sangue. Che siano affari o sentimenti. Luoghi in cui un tradimento coniugale finisce davanti al tribunale della camorra dove legifera e giudica lo stesso soggetto. A Marcianise era la moglie del boss «dongiovanni» a esercitare entrambi i poteri. Perché certe onte le può lavare solo il sangue. Andò così per Angela Gentile. Non poteva continuare a vivere perché il solo fatto che respirasse ancora era un affronto continuo a Maria Buttone, la moglie tradita del boss Domenico Belforte. Angela aveva un relazione col capoclan e gli aveva dato una figlia. Era troppo. La Buttone per un periodo sembrò accettare la cosa, poi non ne potette più. E allora decisero, lei e il marito, che Angela avrebbe smesso di vivere. Che di lei non si sarebbe dovuta trovare più alcuna traccia. Che sarebbe morta e il suo corpo non si sarebbe dovuto mai più ritrovare. Sull’altra pagina del «contratto» tra marito e moglie c’era una bambina. La figlia nata dalla relazione tra Angela e il capoclan. Maria Buttone promise che se ne sarebbe fatta carico, che l’avrebbe allevata come fosse stata sua. E così fu. Quella ragazzina, che oggi è una donna, oggi sa di essere stata cresciuta dall’assassina di sua madre. Ieri, il gip di Napoli Emilia Di Palma, ha condannato all’ergastolo Maria Buttone e a trent’anni il marito, Belforte. Il sostituto procuratore Antimafia Luigi Landolfi (nella foto a sinistra), che insieme alla squadra mobile di Caserta ha rimesso insieme i pezzi di quel puzzle di amore e malavita, ha ottenuto il massimo della pena così come aveva chiesto. Da ieri, la figlia illegittima di Mimì Belforte, sa di aver vissuto fino a due anni fa sotto lo stesso tetto della donna che ha emesso la condanna a morte di sua madre. Lo dice una sentenza che conferma quanto serpeggiava sul caso Gentile già nei giorni successivi la sua scomparsa.
 
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Il piano della Buttone e di Belforte per cancellare la prova vivente del tradimento del marito lo ha ricostruito il pentito Michele Froncillo. «Doveva farla sparire “senza troppo clamore” perché “tutta Marcianise” sapeva che Mimì aveva una figlia con quella ragazza e per questo lei “aveva perso la faccia” nei confronti delle altre donne del clan». Angela Gentile la mattina del 28 ottobre del 1991 accompagnò la figlia a scuola e poi andò a lavorare. Lasciò la macchina al solito posto e la Seat Marbella rossa fu l’unica traccia che di lei si ritrovò in seguito. Fu rapita, ha ricostruito la polizia, da qualcuno di cui si fidava nell’ex parcheggio dell’ospedale. Il corpo della ragazza, ha detto ancora il pentito, «fu seppellito a Puzzaniello di Marcianise, vicino ai pilastri della strada detta ex Pontello». Ma del cadavere, ad oggi, non si è trovata traccia. 

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Pensavano di avere eseguito un delitto perfetto. Angela proveniva da una famiglia umile e aveva avuto una vita sentimentale travagliata, anche con un ex affiliato alla Nco. La eliminarono senza lasciare tracce. Non un corpo, non un testimone. Ma c’era quella bambina, che all’epoca aveva otto anni, ed era la prova vivente del «compromesso». Una vita per una vita. Gli investigatori sono partiti da lei quando, tre anni fa, hanno riaperto il caso. All’epoca la Buttone era ospite della figliastra, a Rimini.

In quella casa, come nella sala colloqui del carcere in cui era detenuto Belforte, la polizia nascose delle cimici. Registrarono lo sfogo della ragazza quando iniziò a realizzare di aver vissuto in un’enorme e terribile menzogna. «Ditemi la verità, per me siete morti», disse. Ma Maria Buttone e Mimì Belforte la verità non l’hanno mai detta. Non hanno mai confessato. E tutta la famiglia ha cercato di occultare quella verità inconfessabile. Incluso Salvatore Belforte, fratello di Mimì, che per un periodo è stato un pentito. Mentì sul delitto Belforte e, pur di arrivare alla verità, la Dda ha chiuso la sua collaborazione con la giustizia. L’ergastolo inflitto ieri a Maria Buttone è il primo della sua «carriera». Al momento, però, resta libera. 

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