Uccisa perché ebbe figlia dal boss, Belforte e moglie verso il processo: «Ma no all'arresto, è affare di famiglia»

Da sinistra Maria Buttone, Angela Gentile e Domenico Belforte
Da sinistra Maria Buttone, Angela Gentile e Domenico Belforte
di ​Mary Liguori
Venerdì 1 Dicembre 2017, 12:26 - Ultimo agg. 17:42
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Maria Buttone minacciò Angela Gentile: se non lasciava suo marito, l’avrebbe fatta ammazzare. Angela era l’amante del boss di Marcianise e la madre della sua figlia illegittima. Quando scomparve, qualcuno chiamò sua sorella e le disse di tenere la bocca chiusa. «Zitta, o ti facciamo fare la stessa fine». Quel monito ha messo una pietra tombale su una vicenda che risale al 28 ottobre del 1991. Da ieri però il silenzio si è rotto con l’avviso di chiusura indagini per Maria Buttone e per il boss Domenico Belforte accusati della lupara bianca di Angela Gentile. Il pm Antimafia Luigi Landolfi aveva chiesto l’arresto di entrambi, lei mandante, lui esecutore, contestando il metodo mafioso, ma il gip Claudia Picciotti ha respinto dichiarandosi incompetente: ha motivato che «si tratta di affari di famiglia, non di malavita». 

Ma la Dda è intenzionata a chiedere il processo per il boss e per sua moglie, visto quanto raccolto dalla squadra mobile di Caserta, diretta da Filippo Portoghese, sia all’epoca dei fatti che in tempi molto più recenti, quando la Buttone è andata a vivere a Rimini, in casa della figlia illegittima del marito e della donna che avrebbe fatto ammazzare per lavare col sangue l’onta del disonore che la tresca del boss le aveva gettato addosso. Sì, perché, quando Belforte fu scarcerato, nel ‘91, si mise in testa di riconoscere la figlia illegittima e prese in fitto un elegante appartamento a Caserta per la sua amante. E la Buttone iniziò a minacciare la Gentile che pero la sfidò apertamente. «Zoccola, non mi fai paura», le rispondeva Angela. E, nell’ottobre di quell’anno, scomparve come inghiottita dal nulla. Ma nessun segreto resta tale per sempre e, a volte, certe verità riaffiorano inaspettatamente. Il 24 febbraio scorso la sorella di Angela ha detto alla polizia che Angela aveva paura della Buttone e che Belforte, la sera della scomparsa, chiamò più volte per sapere se era rientrata. Che, ancora, alcuni mesi dopo, furono obbligati a consegnare la bambina alla Buttone. E lei, quella bimba che oggi è una donna, quando gli zii le chiedevano se pensasse che Belforte fosse coinvolto nella misteriosa scomparsa della madre, rispondeva: «È mai possibile che mio padre volesse il mio male?». Eppure, la mattina in cui sparì, Angela era molto agitata e andò a casa del fratello per confidarsi. «Le cose non stanno bene», si sfogò, ma lui stava partendo per Roma e rinviarono il discorso alla sera. Non si videro mai più. All’altro fratello, qualcuno riferì che Angela era stata rapita da tre uomini nel parcheggio in cui fu poi ritrovata la sua auto. Un testimone, dunque. Su quelle ore avvolte nel giallo é una sorella della vittima a gettar luce. «Buttone aveva giurato a mia sorella che l’avrebbe fatta sparire dalla faccia della terra» e, secondo lei, due giorni dopo la scomparsa di Angela «Mimì Belforte già sapeva che era morta e mi ordinò di andare a prendere la sua roba dalla casa che aveva fittato per lei e per la bambina, e disse che a breve avrebbe preso con sé nostra nipote». 

E fu proprio la bambina ad assistere alla telefonata che forse segnò la condanna a morte di Angela. La ragazza ne ha parlato al pm nel marzo scorso. “Maria la voleva costringere a lasciare mio padre, ma mia madre la insultò: “Zoccola, non mi fai paura”. “Mia madre era molto preoccupata e nei giorni successivi la scomparsa qualcuno minacciò anche mia zia dicendole di farsi i fatti suoi altrimenti avrebbe fatto la stessa fine”. “Più volte ho chiesto a mio padre della fine di mia madre, ma mi rispondeva che qualcuno le aveva fatto del male per colpire lui e che l’avrebbe vendicata”. Agli atti ci sono le dichiarazioni del pentito Michele Froncillo il quale afferma che «Mimì Belforte e Mino Musone uccisero Gentile e fecero sparire il cadavere per dare soddisfazione a Maria Buttone». Non dissimili le dichiarazioni dell’ex cutoliano Paolo Di Grazia che ha riferito, pochi mesi fa, che la lupara bianca ai danni della Gentile «fu opera Mimì Belforte e della moglie». Solo suo fratello, Salvatore, benché pentito fino al mese scorso, ha sempre detto di non saperne nulla. Mentiva, ma la Dda lo ha scoperto e questo è uno dei motivi per i quali lo ha scaricato e Belforte ha perso tutti i benefici di pentito, nel novembre scorso. Ma questa è un’altra storia. 
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