Norah Jones e Billie Joe Armstrong
strana coppia del country

Billie Joe Armstrong e Norah Jones
Billie Joe Armstrong e Norah Jones
di Federico Vacalebre
Martedì 3 Dicembre 2013, 17:39 - Ultimo agg. 4 Dicembre, 09:44
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Per qualcuno qualcuno si tratta soltanto di un’operazione di image cleaning: Billie Joe Armstrong, ribelle pop-punk senza causa n pausa con i Green Day dopo mesi spesi tra ricoveri in rehab, tour sospesi e concerti imbarazzanti avrebbe incontrato Norah Jones sulla strada della tradizione canora a stelle e strisce solo per ripulire, appunto, la sua immagine, per tornare all’onore delle cronache non per la vita spericolata, ma per un inatteso richiamo alle radici. Foreverly, il disco che i due hanno appena pubblicato insieme, , infatti, una rilettura di uno storico album degli Everly Borthers, Songs our daddy tought us, del 1958.

Sta di certo che Norah, peraltro abbonata alle collaborazioni sino ad aver realizzato una antologia dei suoi «feauturing», è da tempo a suo agio nel campo del country, e non solo con il side project dei The Little Willies. E, in fondo, l’ex ragazzaccio di «Dookie» è meno lontano di quanto si creda dalle educate armonie di Isaac Donald «Don» Everly (classe 1937) e Phillip «Phil» Everly (classe 1939), protagonisti di una fortunata quanto breve stagione sonora schiacciata tra l’esplosione di Elvis Presley e quella dei Beatles. Puro pop, senza altre pretese.

«Foreverly», il titolo è un gioco di parole, è pura «Americana», come si definisce oggi il ritorno alle radici del suono made in Usa. Registrato in soli nove giorni, con scaletta e strumentazione diversa da quella originale messa in campo dai due fratelli passati alla storia per il loro stile vocale: seguivano la stessa linea melodica con un intervallo di terza, ovvero eseguendo entrambi una melodia autonoma. Canzoni tradizionali e classici di icone country come Gene Autry e Tex Ritter nel ’58 incise per chitarre e voce qui trovano anche i colori di un banjo, una batteria, una languida pedal steel guitar, un violino. Canzoni d’amore perduto, malattia e morte («Down in the willow garden» è tra i momenti migliori del disco, lenta e funerea). Armstrong presta l’ugola a Don, Norah a Phil, con la variante del gioco voce maschile/femminile che rende il prodotto più vario, più profondo, più country, a suo modo più moderno.

«Sono sempre stato un fan degli Everly Brothers, sin da piccolo», spiega Billie Joe, «ma solo un paio d’anni fa ho scoperto ”Songs our daddy taught us”, innamorandomene subito. Lo ascoltavo tutti i giorni, accarezzavo l’idea di farlo mio, ma con con l’aggiunta di una voce femminile. Ho pensato alla Jones perché con la sua voce può cantare qualunque cosa, dal rock al jazz al blues: le sue armonizzazioni sarebbero state perfette. Quando abbiamo finito l’album lei mi ha guardato e mi ha detto, ridendo: ”Scommetto che non pensavi che avresti mai fatto un album country, eh?”».

Per lei, che si definisce «una divoratrice insaziabile di armonie e musica country», l’approdo è stato più naturale, aveva anche già inciso un pezzo degli Everly, «Bird dog». Ma, racconta, «l’entusiasmo di Billie Joe per queste canzoni ed il suo approccio aperto e rispettoso mi ha conquistata. La sua apertura a provare e cercare ciò che musicalmente funzionava meglio per entrambi, ha reso tutto divertente. Mi è piaciuto spogliare gli originali per avere la libertà di interpretarli in un modo molto personale».

Non un disco necessario, certo, ma nemmeno un disco inutile, che si fa ascoltare con indolente piacere e fa riscoprire l’originale «Songs our daddy tought us» (perfetto per canzoni tramandate da padre in figlio, come da titolo), anche se il frontman dei Green Day un tempo sarebbe stato più adatto al remake di «Songs the Lord tought us», seminale album d’esordio degli irredimibili Cramps. Ma si sa, c’è chi nasce incendiario solo per diventare pompiere.

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