Sepe, la saga di capitan Capitone continua

Daniele Sepe
Daniele Sepe
di Federico Vacalebre
Mercoledì 5 Aprile 2017, 15:06
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Come inevitabile nei sequel, un pizzico di quella gioiosa anarchia scapocchiona che aveva animato «Capitan Capitone e i fratelli della costa» è andata perduta, ma questa volta il pirata comunista in bandana, l’anarcosassofonista verace Daniele Sepe, ha ulteriormente alzato la posta, costruendo intorno al mucchio selvaggio dei suoi ospiti «Capitan Capitone e i fratelli della sposa», un vero e proprio concept album, una storia nuziale, di quelle sospese «tra le due Napoli, quella borghese e quella proletaria».
Autoprodotto grazie ad un meccanismo di crowdfunding già sperimentato con il primo capitolo, stavolta il disco racconta infatti le improbabili nozze tra una signorina bene e il nostro pirata sboccato. Cinefilo e totoista, capitan Sepe aggiorna «Indovina chi viene a cena» e «Miseria e nobiltà» tra suonerie di cellulari che si trasformano in incubi e il solito assalto alla cambusa. L’inizio della saga di Capitone, che poi è il nome del gommone con cui Daniele scappa a mare ogni volta che può, ha segnato l’anno scorso un momento importante per la giovane scena newpolitana, radunatasi attorno a un «grande vecchio», che accetterebbe il titolo per la declinazione eversiva più che per l’età: compirà 57 anni il 17 aprile. Anche stavolta la ciurma è numerosa, con Andrea Tartaglia, Marcello Coleman, Roberto Colella, Tommaso Primo, Sara Sgueglia, Robertinho Bastos, Claudio «Gnut» Domestico, Alessio Sollo, Shaone, Speaker Cenzou, Pepp-Oh, Gino Fastidio, Nero Nelson, ma anche Enzo Gragnaniello, Stefano Bollani, Franco Giacoia, Mario Insenga... impossibile citarli tutti, sono 68 più il titolare che suona sax tenore, flauti vari, ocarina, chitarre e tastiere.
Dopo il successo, anche inatteso, di «Le range fellon», tormentino alternativo che ha conquistato anche i più piccini, e di una love song anomala come «L’ammore overo», Sepe inizia con uno ska, «Ah bello!», riflessione sulla dolce vita in salsa scafessa e sull’impossibilità di fare la rivoluzione con compagni da nighclubbing, e prosegue con lo pseudosamba di «È preciso muito amor» e il carosonismo di «Battiamo le mani» prima di raccontare la lotta di classe al tempo del pranzo di nozze in «Sushi & friarielli». «Stella di mare» è un ballad jazzistica che vede irrompere in campo l’ex fidanzato della promessa sposa, deluso fino al punto da occupare la scena anche nel pezzo successivo, un rockaccio non casualmente intitolato «Bitch» rivolto all’ex amata. «La canzone del padre» è una storia di delusione genitoriale viste le mani in cui finirà la figlioletta così protetta e coccolata, «El cangrego peluso» racconta un esproprio proletario per cui la sposa sarà bandita dalla buona società, mentre «Camerieri» situazionisti mettono lassativo nella torta nuziale.
Nella scena del matrimonio Sepe ha registrato anche un contributo di Luigi de Magistris, «ma non ho fatto in tempo a metterlo nel disco», dice, «se lo ristampo lo aggiungo: per un matrimonio, sia pur piratesco, il sindaco ci vuole. Morirete di risate, vedrete». Intanto «Mal’e fank» guarda al neapolitan power di una volta tra imitazioni di James Senese e Al Bano, prima della chiusura etnica con una «saltarella».
Fare un ironico sequel delle disavventure di Capitan Capitone «non era facile», confessa Daniele, «ma ci siamo divertiti, mi sono trovato di nuovo immerso nella creatività della scena giovane partenopea che è davvero un calderone ribollente, tra talenti straordinari sia sul fronte compositivo che su quello esecutivo: il nostro è davvero un lavoro collettivo. Ci siamo divertiti, abbiamo superato l’inverno chiusi in sala di registrazione aspettando di poter tornare per mare, come pirati ma anche semplicemente per mostrar le chiappe chiare. E, poi, sotto sotto, tra un cazzeggio e l’altro, si parla di cose serie, come dell’eterno dualismo tra le due Napoli, alta e bassa, elegante e volgare, borghese e proletaria». Inutile dire quei pendagli da forca dei pirati da che parte stanno.
 

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