Armi chimiche, il piano: nuovo impianto in Italia per eliminare le scorie. Ecco quali sono i pericoli

In Manovra 2,4 milioni per aumentare la sicurezza nel sito di stoccaggio a Civitavecchia

Armi chimiche, il piano: nuovo impianto in Italia per eliminare le scorie
Armi chimiche, il piano: nuovo impianto in Italia per eliminare le scorie
di Francesco Bechis
Giovedì 23 Novembre 2023, 00:28 - Ultimo agg. 12:57
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È un retaggio pesante. E soprattutto pericoloso. Il governo si muove per smaltire i depositi di armi chimiche in Italia. Fosforo bianco, iprite, agenti soffocanti come il cloro e il fosgene, contenuti in centinaia, migliaia di munizioni ancora presenti sul territorio italiano. Alcune antiche, ordigni inesplosi della Prima e Seconda Guerra mondiale, tedeschi, italiani, americani. Altre più recenti. Un nuovo impianto servirà ora ad accelerare questa operazione di pulizia, richiesta dalle convenzioni internazionali a cui ha aderito il nostro Paese e guidata dai vertici della sicurezza nazionale. L’impianto, un inceneritore, costerà 29 milioni di euro, sarà operativo entro il 2025, così ha deciso il governo con un emendamento alla legge di bilancio. 

L’OPERAZIONE

Nel frattempo saranno potenziate le misure di sicurezza intorno al Centro tecnico logistico interforze (Cetli) di Civitavecchia. Qui, in un centro di smaltimento scorie che è un’eccellenza internazionale, spiega il ministero della Difesa nel testo visionato dal Messaggero, giace una vera e propria polveriera: «2600 proiettili al fosforo bianco». Sono munizioni pericolose, altamente incendiarie - le stesse che il dittatore siriano Assad ha usato anni fa contro la popolazione civile - ed è dovere dell’Italia disfarsene. Così prevede la Convenzione di Parigi del 1993 contro «lo sviluppo, la produzione e l’immagazzinaggio» di armi chimiche che ha visto il nostro Paese in prima linea nell’eliminazione delle scorie, con 18 milioni di euro stanziati dal 2009 al 2023. Evidentemente però c’è bisogno di accelerare per distruggere i giacimenti di munizioni al più presto. È una questione di sicurezza, perché dall’accuratezza e dalla velocità di queste operazioni dipende la salute delle comunità che vivono intorno agli impianti gestiti dalla Difesa italiana.

Basta un’esalazione di troppo e questi gas un tempo usati comunemente negli ordigni bellici - e tornati agli onori delle cronache dopo l’assassinio da parte di 007 russi dell’ex spia Skripal - possono uccidere un ignaro passante. Per questo il governo ha deciso di raddoppiare: «Lo Stato Maggiore della Difesa, ottenuto il parere favorevole dell’Autorità politica, ha disposto la ripresa delle attività propedeutiche» per la costruzione, «presumibilmente entro il 2025», di una nuova struttura. Si tratterà di un «termossidatore pirolitico», cioè di un inceneritore, spiegano nell’emendamento i vertici militari.

Dove sarà costruito? Il Messaggero ha chiesto alla Difesa un chiarimento ma per ora vige il più assoluto riserbo. E non è un caso se il governo, nel nuovo articolo da inserire nella Manovra, sottolinea «la delicatezza della tematica» che ha richiesto un via libera del «Vertice politico», dunque del ministro Guido Crosetto ma anche della premier Giorgia Meloni. In attesa che il maxi-inceneritore di armi chimiche prenda vita, il governo ritaglia nella finanziaria un nuovo pacchetto di fondi per il Cetli di Civitavecchia, 2,4 milioni di euro per il periodo 2024-2026. 

I TIMORI

Nel centro di stoccaggio nel Lazio dovrà andare avanti spedita la «demilitarizzazione» delle armi chimiche, alcune sono «di fabbricazione Usa». La priorità è garantire «le condizioni di sicurezza» dell’impianto, appuntano dalla Difesa confessando un timore: senza un’adeguata manutenzione delle attuali strutture «il personale e l’ambiente circostante, caratterizzato da insediamenti residenziali nonché attività agricole/industriali, potrà essere esposto a potenziali rischi di contaminazione da agenti chimici di guerra». 

Non è allarmismo, in Italia è già successo. L’ultima vittima risale al lontano 1996: Umberto Aboaf, vetrallese, esce di casa in bici e si inoltra nel bosco di querce che costeggia il Lago di Vico, nel Lazio. Poi di colpo la caduta, l’aria che manca ai polmoni, la corsa in ospedale e la diagnosi dei medici, istruiti da ufficiali dell’Esercito: ha inalato fosgene, un gas tossico tra i più letali, sfuggito per incidente da un deposito militare nelle vicinanze. Ma le cronache sono costellate di allarmi, proteste, mobilitazioni di associazioni contro centri di raccolta delle scorie, veri o presunti.

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