Napoli, agente ucciso 38 anni fa: «Niente cella per il killer, ha cambiato stile di vita»

Parla la figlia della vittima: se è un uomo nuovo, perché ha aspettato gli arresti senza mai costituirsi?

il poliziotto ucciso Domenico Attianese
il poliziotto ucciso Domenico Attianese
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Giovedì 18 Aprile 2024, 23:33 - Ultimo agg. 19 Aprile, 11:21
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Ha trascorso alcuni anni di cella (per una serie di rapine), poi ha scelto di vivere in un comune piemontese, dove lavora e fa volontariato. Una condotta irreprensibile, tanto da meritare una relazione positiva del sindaco del piccolo municipio, a proposito della sua capacità di integrazione nella società locale.

Uno «stile di vita diverso» rispetto a quello di 38 anni fa, quando - da 21enne - assaltava una gioielleria e, assieme a due complici, ammazzava un poliziotto che era intervenuto per sventare un colpo a mano armata. È questo il punto cruciale delle motivazioni che hanno spinto i giudici del Riesame a rimettere in libertà Salvatore Allard, oggi 59 anni, finito in cella assieme al presunto complice Giovanni Rendina, come responsabile dell’omicidio del sovrintendente della polizia Domenico Attianese, consumato il 4 dicembre del 1986.

Una vicenda drammatica, rimasta per molti anni nel chiuso di un fascicolo giudiziario, su cui c’è stata una recente svolta investigativa. Inchiesta condotta dal pm Maurizio De Marco, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, che ha fatto leva su una nuova e più performante analisi delle impronte digitali lasciate sul luogo del delitto dagli assassini. Fu un raid consumato all’interno della gioielleria Romanelli, a Pianura.

Agirono in tre, erano armati e immobilizzarono i gestori dell’esercizio commerciale.

Intervenne il poliziotto, che fu allertato dopo l’allarme lanciato dalla figlia 14enne, che in quell’occasione era accanto alla figlia dei titolari del negozio.

Di fronte all’intervento del poliziotto, i banditi non si fermarono. Una colluttazione, i tre elementi che hanno la meglio, uno dei rapinatori che fa fuoco. E che c’entra allo zigomo l’agente. Una esecuzione per la quale nessuno ha pagato ancora, ma che è stata ricostruita sulla scorta del lavoro del capo della Mobile Giovanni Leuci.

Due gli elementi decisivi: l’analisi delle impronte digitali; la testimonianza della figlia della vittima, che non ha avuto dubbi ad identificare almeno due dei tre banditi che agirono 38 anni fa. Difeso dal penalista Domenico Dello Iacono, Allard è stato scarcerato dopo dieci giorni di cella. Torniamo alle convinzioni dei giudici. Dodicesima sezione, collegio B (Alessandra Cantone, Paola Lombardi e Alfonso Scermino): i gravi indizi restano immutati, l’inchiesta è solida; ma vengono meno le esigenze cautelari. In che senso? Allard è stato detenuto dal 1996 al 2004 (per altre rapine che sarebbero state consumate dopo la rapina culminata nel sangue), poi è rimasto a vivere in Piemonte. Qui ha lavorato e fatto volontariato. Si legge nelle motivazioni: «Dopo quasi 40 anni dai fatti, in presenza di un conclamato mutamento dello stile di vita e considerato che l’ultimo reato commesso dal ricorrente risale al 1996, non è più attuale il pericolo di reiterazione del reato. Il lungo tempo di detenzione di Salvatore Allard ha svolto questa funzione di risocializzazione che la costituzione attribuisce alla pena, determinando una positiva evoluzione nella personalità di Allard».

La figlia

Tutto chiaro, anche se non manca qualche perplessità da parte di Carla Attianese, rimasta orfana del poliziotto, ancorché testimone nel corso dell’inchiesta. Spiega a Il Mattino: «Mio padre non tornerà più, anche se venissero arrestati e condannati gli assassini. Quanto alle motivazioni del Riesame, vorrei ricordare che i gravi indizi sono solidi.

È importante che ci sia questa conferma, significa che ci stiamo avvicinando alla verità». Poi, sulla scarcerazione dell’indagato, Carla Attianese aggiunge: «Non sono una fanatica della carcerazione preventiva, c’è conunque un debito da pagare nei confronti di mio padre, verso di me e la mia famiglia, ma anche verso la società tutta.

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Poi mi faccio una domanda da cittadina, prima ancora che da figlia: se è vero che quell’uomo si è riabilitato, ha cambiato stile di vita, perché non si è consegnato alle istituzioni? Ha vissuto una vita portandosi con sé quanto avvenuto in quella gioielleria? Perché ha atteso gli esiti di indagini a distanza di 38 anni dai fatti? Magari sperava di farla franca?».

E ancora: «Non ho mai chiesto vendetta, ognuno ha diritto a difendersi in tutte le sedi, ma mi limito a ricordare che qui non parliamo di reati di pubblica amministrazione o di piccoli reati ma della vita di un uomo ucciso mentre faceva il suo lavoro, mentre affermava i valori della giustizia». Intanto, proseguono le indagini della Procura di Napoli. C’è un terzo uomo che manca all’appello: è quello vestito con abiti eleganti, che si finse cliente della gioielleria, lasciando aperta la porta blindata, favorendo così l’ingresso dei due complici. Il caso non è chiuso, dopo il Riesame si attende l’apertura di un processo.

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