La squadra in ginocchio in segno di protesta prima del fischio d’inizio, la panchina che fa altrettanto, tutti gli azzurri che mutuano il «taking the knee» di stampo statunitense, con i 50mila del Maradona che urlano forte «No al Razzismo» durante l’inno della Lega di serie A. Napoli-Atalanta è cominciata così. Dall’uovo di pasqua, la città partenopea ha scartato e inviato un messaggio forte e chiaro contro ogni forma di razzismo dopo i fatti di San Siro e la vicenda Juan Jesus-Acerbi. L’intera squadra ha usato il gesto che è diventato uno slogan contro il razzismo (in base al quale un individuo si inginocchia invece di stare in piedi durante un inno o un'altra occasione ufficiale) e che è stato spesso adottato dalle squadre inglesi in Premier League e dalla stessa nazionale britannica durante gli ultimi europei nel Regno Unito. Il tutto con una colonna sonora a dir poco eloquente diffusa a manetta dagli altoparlanti di Fuorigrotta. Il tutto sulle note di «Hurricane», canzone-manifesto di Bob Dylan degli anni ‘70 contro la discriminazione razziale che racconta la vera storia del campione di boxe Rubin (Hurricane) Carter condannato ingiustamente e costretto a “scontare” quasi 20 anni di carcere per un triplice omicidio che non aveva commesso. Sugli spalti di Fuorigrotta striscioni, cori e cartelloni di incitamento nei confronti di Juan Jesus. Napoli ed il Napoli hanno risposto così ad ogni forma di discriminazione razziale dopo i fattacci di San Siro, la denuncia del difensore brasiliano e l’assoluzione di Acerbi per... insufficenza di prove.
La solidarietà
Non è esercizio di retorica dire che ieri l'unica vittoria il Napoli l'ha conquistata nella lotta al razzismo prima del fischio d'inizio del match con l'Atalanta. Sul campo e sugli spalti la città ha urlato forte il suo «No al razzismo». E lo ha fatto in tanti modi. C’è chi ha lo ha scritto a penna, con i colori indelebili della solidarietà e chi ha usato l’hashtag «iostoconjuanjesus». Tutti sono arrivati a destinazione. Il club azzurro, come promesso, ha tolto la patch anti razzismo della Lega di A dalle proprie divise ufficiali di gioco, ma si è prodigato in iniziative contro ogni forma di xenofobia. Peccato non aver dato la fascia di capitano a Juan Jesus. Sarebbe stato un segno, un simbolo, senza naturalmente intaccare le gerarchie dello spogliatoio. Sarebbe stato un altro bel messaggio forte ed un segnale a tutto l’ambiente. Tant’è. Mentre le squadre stavano effettuando il consueto riscaldamento in campo e Juan Jesus era stato accolto da una marea di applausi di solidarietà dal pubblico di Fuorigrotta, l'attore Marco D'Amore ha lanciato un messaggio molto toccante sul tema: «Queste sono parole che arrivano da lontano e recitano così - ha detto l’attore - troppo hanno visto i nostri occhi, troppo hanno udito le nostre orecchie, troppo hanno taciuto le nostre labbra, ma non è più questo il tempo dell’indifferenza e della noncuranza. Napoli fai sentire la tua voce: senza timore, senza vergogna, senza paura... diciamo, uniti, insieme NO al razzismo». Il Maradona ha risposto prima con una valanga di applausi e poi amplificando l’invito dell’attore urlando forte «NO al razzismo» e facendo tremare gli spalti di Fuorigrotta quasi come ai tempi del “porompompero”. Marco D’Amore aveva al suo fianco l'attaccante dell'under 15 del Napoli Mohamed Seick Mane che - ironia della sorte - era stato protagonista del video contro il razzismo insieme a Juan Jesus proprio prima della sfida con l’Inter a San Siro.
I messaggi
Durante l’intervallo viene trasmesso nuovamente il video sui due maxi schermi in cui tutti i giocatori del Napoli dicono No al razzismo in tutte le lingue e contro tutte le sue forme. A inizio ripresa, Juan Jesus è stato il primo a rientrare sul terreno di gioco. Ancora una volta accolto dagli applausi dei tifosi, nonostante i campioni d’Itala fossero sotto di due gol. Stavolta la prestazione del giocatore e di tutta la squadra erano passate per un attimo in secondo piano rispetto ad un problema ben più importante come quello dell’intolleranza.