Sanremo, Maria regina del Festival
A rischio Clementino, Ron, Ferreri

Sanremo, Maria regina del Festival A rischio Clementino, Ron, Ferreri
di Federico Vacalebre
Mercoledì 8 Febbraio 2017, 01:16 - Ultimo agg. 12:35
3 Minuti di Lettura

Inviato a Sanremo

Così non vale. Carlo III di Sanremo si boicotta da solo con un incipit-madeleine proustiana folgorante, che monta insieme hit festivaliere che non hanno vinto niente, da Battisti («Non sarà un’avventura») a Dalla («4/3/1943»), da Gaetano («Gianna») a Bocelli («Con te partirò»). Poi introduce i suoi 22 Big (a loro e nostra insaputa) e lascia il secondo inizio, nel buio, a Tiziano Ferro alle prese con «Mi sono innamorato di te».
 

 

Cinquant’anni fa, nella notte tra il 25 e il 26 gennaio, il suicidio di Luigi Tenco obbligò il paese dei papaveri e delle papere, poi diventato dei cachi, a capire che non erano solo canzonette. Non è «Ciao amore ciao», a risuonare stasera, forse perché l’ha già fatto Mengoni nel 2013, forse perché la canzone scelta dal cantore del «Rosso relativo» è più bella, un classico che cancellava gli sterotipi dell’epoca, ma che non è riuscito ad evitare quelli che impazzano ancora oggi all’Ariston.
 
 

Come fai a reggere il confronto con quei versi, con l’orchestra che li riempie di archi, con Tiziano che ci mette voce, cuore e anima nel bianco e nero delle riprese? Come fai a pensare che Tenco, ma pure Ferro, dai, vengano dallo stesso pianeta canoro di Giusy Ferreri, che pure con «Fa talmente male» è tra le poche cose almeno orecchiabili di questa sessantasettesima edizione appena iniziata? Che i versi d’amore spaesato di Luigi che voleva cambiare la canzone italiana abbiano a che vedere con la solfa che ci tocca stanotte, a dimostrazione che, almeno qui, non è cambiata? Fa talmente male che è tempo di pensare alla gara, di ricordarsi che siamo nella terra dei cachi, non al Premio Tenco. E che Conti non si autoboicotta, sa che deve fare tv, e tv fa, altro che Festival della canzone italiana.
 
 

La De Filippi, in nero lungo trasparente («basta che non si vedano le mutande») di Tisci, è sicura, a suo agio, precisa, nel muoversi tra «l’esemplare uomo sex symbol» Raoul Bova e gli eroi del quotidiano della Guardia di Finanza (il maresciallo Lorenzo Gagliardi che era all’hotel Rigopiano), della Croce Rossa, del Soccorso Alpino, dell’esercito, della Protezione civile, dei Vigili del fuoco: la retorica dei buoni sentimenti è al suo posto con la puntuale standing ovation, ma anche l’occhieggiare alle «signorine ormonose», l’alludere al «six pack», l’arrivo per par condicio di Rocio Munoz Morales. Il linguaggio delle canzonette si contamina con quello della tv del dolore, se la musica non tiene la platea davanti alla tv (alle 22 sono passate solo tre canzoni in gara, manca poco all’una quando il verdetto di giuria demoscopica e sala stampa fa rischiare l’eliminazione a Clementino, Ron e Giusy Ferreri, non certo i peggiori, anzi) ci pensa la capacità di parlare alla pancia del Paese, portando in scena anche Corto, il labrador salva-dispersi. 
 

Continua a leggere su Il Mattino Digital

© RIPRODUZIONE RISERVATA