Tom Zè Premio Tenco internazionale: «Nei graffiti di Pompei c'è l'amore di sempre»

«Caetano Veloso cantò “Alegria, alegria” e tutto cominciò. Era il 1968»

Tom Zé, 87 anni
Tom Zé, 87 anni
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Domenica 22 Ottobre 2023, 08:20 - Ultimo agg. 23 Ottobre, 07:25
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L'applauso più forte, e commosso, è per salutare Staino, «per sempre presidente del Club Tenco». Paolo Capodacqua, Leti Dafne e Federico Sirianni sono il contorno ai piatti forti della serata, Flavio Giurato si riprende una scena per troppo tempo negatagli, Vinicio Capossela si prende la sacrosanta quinta Targa Tenco (più un Premio Tenco alla carriera) per il miglior album dell'anno, e con «Giovanni telegrafista» rende omaggio a Enzo Jannacci, a cui tutta la manifestazione è dedicata. Applausi. E applausi, con il suo set straniato e straniante, strappa Tom Zé, 87 anni, Premio Tenco internazionale tra «Tò» e la mitica «Jimi renda-se», «A carta» e «A terra, meus filhos».

Lei, Zé, è nel novero dei fondatori del movimento tropicalista che teneva insieme la tradizione brasiliana con i Beatles, Hendrix, Dylan, la poesia concreta, l'arte più visionaria, nel nome di una cannibalismo culturale. Ma chi fu a iniziare il tutto?
«Caetano Veloso, era il 1968, cantò “Alegria, alegria”.

E tutto cominciò».

«Camminando contro il vento»: così iniziava quel pezzo. Eppure dei dolci barbari tropicalisti - Veloso, Gilberto Gil, Os Mutantes, Gal Costa - lei sembra quello che ha remato di più in direzione ostinata e contraria, senza cedere alle lusinghe del mercato, non cercando la piacevolezza ad ogni costo.
«Veloso e Gil mi hanno mostrato la strada, hanno iniziato prima di me. L'intuizione è loro, io sapevo solo che non volevo cantare i vecchi versi d'amore vissuto come un dramma, le mie canzoni davano voce alla strada, a personaggi veri. Questa non è musica, mi dicevano. Non mi arrabbiavo».

Non fu capito forse nemmeno nel suo Paese. Eppure nel 1975 aveva pubblicato un capolavoro assoluto, «Estudiando o samba».
«Sì, e il principale critico musicale stabilì che avrei dovuto studiarlo ancora a lungo il samba. Io sapevo di aver fatto un disco importante, ma anche difficile. Così chiesi alla mia casa discografica la libertà di scegliere una copertina che si facesse notare e ci schiaffai sopra della corda e del filo spinato».

Funzionò?
«No, stavo per tornarmene nel mio paesello bahiano, Irarà, per fare il benzinaio: il mondo della canzone sembrava non volesse più saperne di me, ma...».

Ma...?
«Ma David Byrne, si trovò in mano quel mio disco, guardò la copertina senza ragazze in bikini e disse: Questo deve essere di un pazzo, lo voglio. Mi ascoltò e mi (ri)lanciò nel mondo con la sua etichetta Luaka Bop».

Byrne sentiva nelle convulsioni del suo sound una sorta di pre-no wave.
«Non so che cosa ci vedesse. Hanno detto che sperimentavo a discapito del samba, della pagode, della bossa nova. Ma io cercavo un linguaggio per parlare, per suonare, non avevo la voce educata di un tenore, né quella ruffiana di un crooner. Sperimentavo con i nastri magnetici, mi inventavo strumenti postindustriali... Sapevo che non volevo usare le parole che avevo studiato a scuola e all'università e che, anche nella musica, mi serviva un alfabeto nuovo».

Lo chiamarono tropicalismo: perché?
«Fu la stampa, bisognava battezzarlo in qualche modo quel movimento, che non era solo sonoro. Successe così anche con gli impressionisti».

Qui al Tenco hanno premiato anche Vinicius, Chico Buarque, Jobim...
«Tutti miti. Vinicius, ad esempio, era un intellettuale, un poeta raffinatissimo, ma i suoi versi arrivavano anche a chi non aveva mai preso in mano un libro».

Il suo ultimo album, «Lìngua brasileira», dell'anno scorso, sottolinea l'importanza della cultura africana in Brasile.
«È sottovalutata, mi piace riaprire la questione a partire dalla lingua, dai linguisti, dai poeti. È un modo per eliminare alla base qualsiasi presunta giustificazione al razzismo».

C'è una canzone che si intitola «Pompeia - Piche no muro nu»: «Graffiti sul muro nudo di Pompei».
«Quando hanno iniziato a scavare, lei lo sa, sono venute fuori cose bellissime, affreschi... Ma quel che più che mi ha colpito è l'iscrizione su una parete: Quisquis amat valeat, pereat qui nescit amare, bis tanto pereat quisquis amare vetat. Ovvero: Viva chi ama, muoia chi non è capace d'amare e muoia due volte chiunque vieti l'amore. È l'amore di sempre, ancora oggi si scrivono cose simili sulle mura delle nostre città». 

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