Biagio Antonacci, nuovo album «Sessant'anni e un figlio, mi serve un nuovo inizio»

«Negli ultimi cinque anni ho scritto 35 canzoni, ne ho scelte 15, qualcuna anche già uscita»

Biagio Antonacci
Biagio Antonacci
di Federico Vacalebre
Giovedì 11 Gennaio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 19:00
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Il nuovo Antonacci ricomincia da Carlo, due anni, il suo terzo figlio. È lui a motivare «L'inizio», titolo del suo nuovo album, in uscita domani.

Inevitabile iniziare da qui, Biagio.
«Il brano che apre tutto è di Giorgio Poi, io raramente canto cose di altri, era successo con Conte e Battiato».

Un paragone pesante.
«Lui è un giovane meraviglioso cantautore, qui parliamo di inizi, non facciamo paragoni. Passeggiavamo per Bologna una notte e gli ho detto che aspettavo un bambino. Che coraggio, io non ne ho fatto nemmeno uno e tu diventi padre di nuovo. Gli risposi che non ci voleva coraggio, ma solo un nuovo inizio.

Il giorno dopo mi ha mandato sue frasi frutto di quella chiacchierata, voleva che ci mettessi io le mani per metterle in canzone, ma ho lasciato a lui il compito, io dovevo pensare alla futura paternità. Il brano parla della mia vita, ma con gli occhi degli altri. L'inizio è già un passato. Mi piace avere la libertà di vivere, scrivere, cantare nel presente, di fare un disco senza pensare al tour, di scrivere con altri... Nella vita ho perso molto perché pensavo che il domani fosse meglio del presente».

«Penso alle storie passate/ e al tempo che ho perso nelle cazzate/ Mio figlio è più sincero di me/ ma non sa ancora parlare/ io voglio vivere di nuovi inizi/ sorridere al cielo ad un passo dai precipizi», canti. Sembrerebbe anche un disco politico.
«Non lo è se bisogna sventolare una bandiera. Lo è se un un uomo di 60 anni, con la sua esperienza, può parlare della società in cui vive».

Tra brani ci sono inviti ad apprezzare le piccole cose, ad essere consapevoli che viviamo tutti in un acquario e non in mare aperto.
«Sì, penso alle piccole cose: se in un corteggiamento corri perdi la fantasia: Troppa confidenza toglie il cielo dalla stanza, dico in Non diamoci del tu».

Visto che spunta Gino Paoli, in «Telenovela» c'è una tipa che canta Mina con un'amica, mentre nel singolo «A cena con gli dei» intoni: «se ascolto musica celebre non mi sento mai solo». Che musica «celebre» cura la tua solitudine?
«Jesahel dei Delirium di Fossati e Azzurro di Conte nella versione di Celentano. A 15 anni mia madre mi mandò in colonia sul lago Maggiore per socializzare con qualcuno che non fossero i ragazzi di strada della mia Rozzano, non proprio raccomandabilissimi. Vivevo chiuso nel refettorio ascoltando quei due brani, li ho messi in una playlist che ascolto quando ho bisogno di una malinconia positiva. Con Domenica bestiale di Concato, che mi ricorda le domeniche che andavo a pescare i gobbi, dei pesciolini, in un laghetto, con un walkman comprato in cinque-sei amici che ci dividevamo a turno. E, ancora,La grande grotta, storia del magnifico amore tra Alberto Fortis e Rossana Casale chiusi un piccolo monolocale a Milano: lui aveva iniziato ad avere successo, lei era la sua corista».

In un disco pop, elettronico, vivace, spunta «Anita».
«È la storia dell'eroina dei due mondi come l'abbiamo studiata a scuola, anzi come non ce l'hanno mai spiegata a scuola: brasiliana morta in Italia a soli trent'anni, per Garibaldi fu musa, prima amante e poi moglie (ne ebbe tre), combattente. Aveva una straordinaria forza di volontà: imparò a cavalcare da bambina, da giovanissima fu costretta a sposarsi, riuscì a lasciare tutto per un nuovo inizio».

Riecco la la parolina magica.
«Certo. Ebbe il coraggio di dire al suo uomo: vattene, lasciami, altrimenti ti prendono e il mondo ha bisogno di te, tu sei Garibaldi. E lui se ne andò, la lasciò morire, anche se aveva detto che lei era l'unica che avrebbe potuto prendere il suo posto. Una femminista ante litteram, ho scritto una lettera che il suo uomo avrebbe potuto dedicarle: Ce ne fosse di coraggio/ quello scritto sulla faccia/ quello che tu hai sempre avuto/ la paura non fa storia. Oggi Anita sarebbe stata una rivoluzionaria, una scrittrice, magari avrebbe diretto un film come quello della Cortellesi».

«L'inizio» è un disco in famiglia: la dedica a Carlo, tuo figlio Paolo tra i coautori, «Evoco» che parla di tuo padre.
«Ho scritto con sincerità quei versi: A lui voglio soltanto dire ti voglio bene. L'ho fatto troppo poco».

Anche questo è un cambiamento, un nuovo inizio.
«Esatto: paghiamo un mutuo per trent'anni per vivere nella stessa casa, ci danniamo per un posto fisso, ci giuriamo amore eterno in chiesa. Ma ci serve libertà. Negli ultimi cinque anni ho scritto 35 canzoni, ne ho scelte 15, qualcuna già uscita, come Tridimensionale con il ritmo di Benny Benassi. C'è anche Sognami, un mio successo del 2007: l'ho fatta l'anno scorso a Sanremo nella serata delle cover con Tananai e Don Joe e mi è piaciuta riprenderla con loro».

Bilanci?
«Se oggi vengono dei ragazzi ai miei concerti è perché agli inizi ero un bello e piacevo alle ragazze: quelle ragazze sono diventate madri e hanno costretto i figli ad ascoltarmi in macchina».

Storia di un inizio anche questa.
«Sì, all'epoca credevo di dovermi giustificare con i giornalisti, oggi so che è stata la mia fortuna». 

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