mRna, ecco la proteina che cura. Il premio Nobel Katalin Karikó: «Dal cancro all'infarto, così possiamo sconfiggere anche malattie rare»

Più di 250 test genetici in corso, la tecnica a mRNA scoperta con Weissman per il vaccino SarsCov2 può essere usata contro cancro e malattie rare

mRna, ecco la proteina che cura. Il premio Nobel Katalin Karikó: «Dal cancro all'infarto, così possiamo sconfiggere anche malattie rare»
Riccardo De Palodi Riccardo De Palo
Giovedì 16 Maggio 2024, 06:39 - Ultimo agg. 17 Maggio, 15:03
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«La tecnica dei vaccini a mRNA, o Rna messaggero, ha tantissime applicazioni: attualmente ci sono più di 250 test clinici in corso».

A parlare è Katalin Karikó, biochimica ungherese con passaporto Usa che ha ricevuto il Nobel per la medicina nel 2023 – con l’immunologo americano Drew Weissman – per avere scoperto l’attivazione immunitaria mediata dall’RNA, che ha portato ai vaccini anti-Covid. Se il picco di pandemia è ormai relegato al passato, lo dobbiamo anche a questa sessantanovenne dalle origini umili, cresciuta al di là della cortina di ferro, il padre macellaio «sempre felice e sorridente» malgrado le avversità, lo specchio di sua figlia. La storia di Katalin Karikó è contenuta nell’avvincente autobiografia Nonostante tutto. La mia vita nella scienza (Bollati Boringhieri), da poco nelle librerie.

Katalin Karikó con il collega Drew Weissman

Quanti di questi test clinici sono per vaccini?

«Non tutti, alcuni servono a produrre risposta immunologica ai tumori, o per curare malattie rare o acute, come l’infarto. Ci sono moltissime applicazioni».

Lei ha avuto un'idea, ci ha creduto, ha superato tutte le difficoltà e ha vinto un premio Nobel. Come è andata?

«Ora vengo invitata a raccontare cosa vuol dire essere una donna di successo, ma per molto tempo non è stato così. Sono stata cacciata (dall’Università della Pennsylvania che non credeva nella tecnica a mRNA, proposta già nel 1990, ndr) e poi, dieci anni dopo, ho vinto il premio Nobel. Ma questo non è importante. Non ho risentimenti».

Nel libro racconta di essere cresciuta in una famiglia povera.

«Da bambina non capivo perché mio padre non poteva più fare il suo lavoro di macellaio. Facevo le elementari e lui era stato impiegato come operaio edile, e io non sapevo che era colpa del regime comunista. Lui era sempre di buon umore, fischiettava e cantava, e non mi preoccupavo».

Il suo è stato il compimento del sogno americano?

«Non è mai stato il mio sogno americano. Io non ci volevo andare. Tutti dicevano: vai in California, vai in North Carolina. Ma io ero felice in Ungheria. Avevamo preso un appartamento, mia figlia era appena nata. Il mio sogno era lavorare in un centro di ricerca biologico. Ho accettato una borsa di studio post-dottorato alla Temple University di Philadelphia perché partire per lavoro non era ritenuto una fuga dal Paese».

Ma l’hanno denunciata per violazione delle norme sull’immigrazione.

«Sì, è stato il mio professore Robert J. Suhadolnik della Temple University. Pubblicavamo tante ricerche, e lavoravo giorno e notte. Quando, dopo tre anni, gli dissi che mi avevano fatto un’offerta di lavoro alla Johns Hopkins, mi rispose che dovevo rifiutare. Era stato sempre gentile con me, fino a quel momento. Eppure mi disse proprio così: di restare con lui o affrontare l’espulsione.

Mi denunciò».

Però è riuscita a restare negli Usa.

«Sì, ho pagato mille dollari a un avvocato che è venuto con me all’ufficio immigrazione e ha trovato un modo di convincerli a ritirare il provvedimento».

Ha continuato a studiare la fattibilità della tecnica a mRNA. Perché non le credevano?

«Non credo che fosse una cosa contro di me come donna, o come immigrata. Nel 1990 era appena cominciato lo Human Genome Project che finì solo nel 2003, 13 anni dopo.
Ogni volta che veniva scoperto un nuovo gene collegato a una malattia, potevamo ipotizzare una terapia. Spesso basta qualche tipo di superproduzione di una proteina, che aiuta il processo di guarigione, e lenisce il dolore. Basta, insomma, l’mRNA. Ma tutti odiavano lavorare con l’RNA perché si degradava molto rapidamente».

Fino a quando ha incontrato Drew Weissman alla fotocopiatrice del laboratorio.

«Sì era un nuovo collega, lo notai subito, perché conoscevo tutti, lavoravo lì da sette anni. Mi sono un po’ vantata di quello che stavo facendo mentre copiavo i miei fogli e lui invece di andare via ha cominciato a parlarmi e a chiedermi se potevo fare Rna per lui».

Poi ha dimostrato che la sua tecnica funziona e ha posto le basi del vaccino anti-Covid. Può funzionare anche contro il cancro?

«Lavoro sempre, anche alla BioNTech, per generare mRNA che codifica proteine terapeutiche. Ho partecipato alla produzione dell'mRNA che codifica gli anticorpi che possono riconoscere le cellule tumorali».

Com’è andata con la BioNTech?

«Mi hanno assunto nel 2013, sono arrivata a diventare vicepresidente senior, dall'ottobre 2020 sono consulente. Tutto è iniziato quando nel 2015 l’ad Uğur Şahin mi ha detto: “Dobbiamo avere un vaccino contro le malattie infettive, è un obbligo morale, anche se non porterà guadagni”. Tre anni dopo Pfizer si è rivolta a BioNTech per sviluppare un vaccino contro l'influenza basato su mRNA. Abbiamo lavorato con Pfizer per due anni e avevamo già testato la formulazione, tutto. Eravamo pronti per iniziare una sperimentazione umana. Ma all'improvviso il progetto sull'influenza è stato messo in secondo piano, a causa della pandemia».

Oggi leggiamo di una nuova pandemia X che sarà peggio del Covid. È davvero così?

«Bill Gates diceva che ci era voluto l’incendio di Roma per inventare i vigili del fuoco. Ora che abbiamo appreso la tecnica dell'mRNA, si può ripetere molto rapidamente il procedimento. Identifichi la particella virale e ottieni la sequenza. In sei settimane si possono avere grandi quantità di vaccini».

Ora sono più sicuri?

«Sì, ma in realtà già prima della pandemia esistevano vaccini contro le malattie infettive, basati su RNA messaggero e testati sugli esseri umani. CureVac ha sperimentato il suo contro la rabbia. Moderna ha utilizzato la stessa tecnologia per l'influenza aviaria, utilizzando due studi condotti sul virus Zika».

Qual è il futuro?

«La produzione di mRNA è economica. Possiamo creare vaccini contro virus che non abbiamo, o sostituirne altri: quello contro l’herpes zoster attualmente è molto costoso. E poi si sta sviluppando anche il campo della lotta contro le malattie rare. Stanno trattando la fibrosi cistica, l’infarto. E sono in fase di sviluppo vaccini contro malattie non virali, come la tubercolosi, il Borrelia che causa la malattia di Lyme, la malaria».

Si sente un’ispirazione per le giovani donne?

«Ricevo risposte molto positive. Bisogna insistere con i giovani, incitarli a lavorare divertendosi, a essere felici. Mai fare esperimenti solo per compiacere gli altri».

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