Il teatro civile di Iannacone in scena allo Charlot di Pellezzano

La formazione, i rapporti con letteratura e cronaca: Iannacone incrocia racconto del sé e quello del Paese

Iannacone in scena
Iannacone in scena
di Davide Speranza
Venerdì 16 Febbraio 2024, 16:52 - Ultimo agg. 18:30
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Saper raccontare storie ed avvenimenti di un popolo, di una comunità, significa lasciare un segno, la traccia di una visione condivisa (nel bene e nel male), significa soprattutto giocare in anticipo su antropologi e archeologi del futuro, mettendo in archivio comportamenti, tradizioni, eventi di questo presente che poi sarà passato. È un lavoro certosino e di grande passione quello di Domenico Iannacone, giornalista di razza, narratore del reale, di un’Italia che cambia (e non sempre in meglio). Volto conosciuto al grande pubblico, in particolare per progetti televisivi come «I dieci comandamenti» e «Che ci faccio qui», domani, sabato 17 febbraio (ore 20.30) porta in scena al Teatro Charlot di Pellezzano lo spettacolo «Che ci faccio qui-in scena».

La performance avvicina il pubblico al teatro di narrazione, un teatro civile che spiega gli italiani agli italiani. Disagi abitativi, ingiustizie sociali e crimini ambientali. Il giornalista molisano si inserisce in una tradizione sempre sperimentale della drammaturgia realistica, porta la vera informazione sul palco, un giornalismo che rompe lo schermo televisivo, rompe anche la quarta parete, accompagna il pubblico – attraverso un processo di poetica aneddotica e delicata – nei luoghi che ha attraversato, nelle speranze e nei rancori di un popolo che cerca la propria identità. «La mia è un’estensione del progetto televisivo – conferma Iannacone, plurivincitore del prestigioso Premio Ilaria Alpi – I fatti si possono raccontare in tanti modi, mantenendo viva la verità. La parola in teatro trova una forza prorompente, per cui sul palco libero le mie emozioni, metto a nudo me stesso. Ho creato una narrazione civile che desse voce agli emarginati, alle periferie. Ho amato il cinema neorealista e mi avvicino a quella dimensione delle storie minime che si devono cercare nelle pieghe del mondo». La formazione, i rapporti con letteratura e cronaca. Iannacone incrocia racconto del sé e quello del Paese.

«Adoro le storie che mi hanno permesso di capire cosa significa essere uomo – aggiunge – Ad esempio porto in teatro il racconto di una persona che viveva in una macchina, si percepisce la caduta, la fragilità è lì, la vedi. Poi le questioni ambientali, che sono state uno dei miei cavalli di battaglia. E poi gli aspetti dell’accoglienza, della solidarietà umana, come per Lorena Fornasir, questa donna che cura i piedi dei migranti. Mi pare simbolico, curare le piaghe di chi arriva massacrato dopo chilometri per trovare un senso alla propria esistenza. Ancora, gli esempi positivi di fabbriche che cambiano pelle, uomini che cercano di proteggere la storia delle cose. Insomma una miscellanea che nella parte centrale contiene un segmento che posso cambiare ogni sera, una narrazione istintiva, quando sento certe vibrazioni dall’altra parte». Sembra di vederlo quel ragazzino nato tra le terre del Molise, in un paesino di mille anime, in una piccola redazione locale, alle prese con il ciclostile, e che alimenta una missione da compiere. «La mia famiglia era piccolo borghese, imprenditori, vedevano il desiderio di fare il giornalista come una infatuazione e basta – ricorda Iannacone – Ma dentro c’era la voglia di andare oltre. Sono stati anni difficili, non sono stato proposto da nessuno, sul piano pratico è come se fossi ancora un ragazzino, racconto le storie di oggi e mi rivedo in quella redazione, una stanza dove insieme a tre persone facevamo un giornale».

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Dalla prospettiva ancora candida di quell’amore per il mondo e per la gente, Iannacone lancia un messaggio ai giovani e non solo. «Abbiamo bisogno di ricercare nuovi modelli di socialità e accoglienza per i ragazzi – suggerisce il giornalista – La società ha vissuto una fase di grande traballamento di valori. Ai giovani dico di utilizzare i mezzi tecnologici ma anche di aver voglia di uscire dalle loro case. Uscite con lo sguardo fuori dagli schermi, dai telefoni, guardate il mondo com’è, siate curiosi, e a quel punto verrà la voglia di raccontare le cose che avvengono intorno e non solo quelle dei social». 

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