Iniezione letale, il padre di Carmine:
«Lui non ha mai chiesto di morire»

Iniezione letale, il padre di Carmine: «Lui non ha mai chiesto di morire»
di Viviana De Vita
Sabato 20 Ottobre 2018, 23:47 - Ultimo agg. 22 Ottobre, 09:17
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«Mio figlio non mi ha mai chiesto di morire; ha chiesto esclusivamente ed espressamente di poter essere addormentato in attesa del suo ultimo respiro. Stamattina ho chiesto al dottor Marra soltanto di addormentarlo, come da richiesta di Carmine». Lo dice ai carabinieri del Nas, il 18 gennaio scorso, il padre di Carmine Giannattasio – il 28enne di Battipaglia, malato terminale, ucciso, secondo gli inquirenti, da una dose di Midazolan, somministratagli dal dottore Alessandro Marra. Quella dichiarazione per gli inquirenti è chiarissima: i genitori del ragazzo non volevano accelerare il decesso, non erano preparati a questo. 

Oltre alla testimonianza del padre del 28enne, diverse intercettazioni sono confluite nelle carte dell’inchiesta della Procura di Salerno che ha travolto l’hospice “Il giardino dei girasoli” di Eboli. In particolare, il dottore Marra è accusato di aver ucciso con un’iniezione letale il malato terminale. Si parte proprio dalla mattina del 18 gennaio. «Se ti rendi conto che è proprio in uno stato di delirio terminale bisogna solo addormentarlo definitivamente» dice al telefono il medico dall’altro ieri agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta nata dalla sparizione di alcuni medicinali nella struttura sanitaria ad Eboli.
 
Il professionista parla con un collega dell’Unità operativa di medicina del dolore e cure palliative. Il suo paziente, Giannattasio, malato da ormai più di tre anni, è allo stadio terminale e la situazione sta precipitando. I genitori del ragazzo, disperati, hanno telefonato al medico per chiedergli di alleviare le sofferenze del figlio che, da ore, non riesce a respirare nonostante la bombola di ossigeno e si contorce da dolore. È la madre ad indirizzare la sua disperata richiesta: «Io non so più come comportarmi in questo momento per farlo stare più tranquillo, più che altro per riprenderlo». Alessandro Marra contatta, dunque, il collega dicendogli che, ormai la situazione è irreversibile. Al suo interlocutore che gli chiede se sia opportuno o meno il ricovero in rianimazione, replica chiaramente: «Bisogna solo addormentarlo definitivamente». Ma il collega non se la sente: «Come faccio a farlo io? Non me lo chiedere, non ho esperienze, non ho carattere, ho sempre rifiutato a livello psicologico. Tieni presente che fino a ieri ho fatto le emergenze, non saprei proprio come muovermi con le mani, comincio a tremare». È allora lo stesso Alessandro Marra a recarsi a casa del ragazzo. Sono le 8.30 del mattino: neanche un’ora dopo il padre richiama il dottore e, in lacrime, gli dice che suo figlio è morto. Ucciso, secondo l’accusa, da una dose di Midazolan, farmaco detenuto illecitamente dal medico, che – scrive il gip Ubaldo Perrotta nell’ordinanza - «sarebbe stata letale anche per una persona sana».  Marra ricontatta il collega che non aveva voluto praticare l’iniezione letale. Per gli inquirenti si tratta di una telefonata chiarissima: «Vedi che il ragazzo è deceduto», afferma. «O Dio santo» risponde il collega «sei un individuo incredibile, Dio te ne renda merito, non so come fai guarda». 
 

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