Le fanciulle malmaritate all'ombra del Rosariello: piazza Cavour, che storie

C'era una volta il largo delle Pigne e un'antica comunità di donne che si ritirava dal mondo

La chiesa del Rosariello
La chiesa del Rosariello
di Vittorio Del Tufo
Domenica 25 Febbraio 2024, 10:00
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«In me esiste, al fondo di un pozzo,
Un pertugio di luce verso Dio.
Là, molto in fondo alla fine,
Un occhio fabbricato nei cieli»

(Fernando Pessoa) 

* * * 

C'era una volta una picciola cappella, fuori le mura della città, tra la Porta di San Gennaro e quella di Santa Maria di Costantinopoli, nel cuore di una certa Napoli antica e nobilissima dove si conserva il ricordo della Lava dei Vergini e delle acque che scendevano tumultuose dalle alture della Stella, di San Potito e di Santa Teresa. C'era una volta un luogo di devozione, l'attuale chiesa del Rosariello, che ci racconta un pezzo di storia delle donne vissute nel tormentato Seicento napoletano. Donne pericolate o malmaritate che vivevano celate, recluse, dietro le grate di un antico conservatorio di fanciulle. C'è stato un tempo in cui questa zona della città, l'attuale piazza Cavour, era conosciuta come Largo delle Pigne, perché cosparsa di alberi di pino che oggi rivivono solo nella toponomastica, e negli antichi racconti che si tramandano di padre in figlio.

Questa è la storia di un luogo della memoria per molto tempo abbandonato, se non da Dio, certamente dagli uomini, i quali hanno tollerato che la Storia si sfaldasse in una slavina di pietre una maledetta mattina del 2021. Ma la chiesa del Rosario al Largo delle Pigne, più nota come Rosariello, non dev'essere ricordata solo per il crollo avvenuto il 20 gennaio di quell'anno. Crollo che ha interessato un'ala dell'edificio già danneggiato dal terremoto del 1980 e, negli anni, saccheggiato più volte; a salvarsi furono solo i dipinti di Luca Giordano e Onofrio Avellino, poi messi al sicuro dalla Soprintendenza. 

 

Qui, nella prima metà del Seicento, nasceva uno dei più antichi conservatori della città, grazie ai volenterosi domenicani che adoravano lasciare le proprie tracce in ogni luogo, dentro e fuori le mura.

A prendere l'iniziativa fu il padre domenicano Michele Torres, futuro vescovo di Potenza e confessore del viceré Ramiro di Guzman, duca di Medina. Il Collegio fu detto anche delle Pigne per via di due grossi pini antichi, unici rimasti quando fu allargata la strada e che poi furono tagliati dalle monache «perché scuotendosi al vento facevano scuotere la Chiesa» (Celano) e che possiamo vedere ancora in piedi nella Pianta Baratta proprio in corrispondenza del luogo in cui sarà eretta la chiesa. Con il passare degli anni il ritiro divenne una comunità monastica.

Mezzo secolo più tardi iniziarono i lavori di ampliamento, grazie al consistente lascito del ricco e famoso mercante fiammingo Gaspare Roomer, un mecenate innamorato dell'arte che abitava a poca distanza, nella salita della Stella. Fu Roomer a rendere possibile i lavori per la costruzione dell'attuale chiesa, su disegno di Arcangelo Guglielmelli. La facciata è dominata dalla statua della Vergine col Bambino (1707), che campeggia scenograficamente sul fondo scuro del vuoto retrostante, un'opera straordinaria realizzata da Giuseppe Troccola sotto la direzione di Ferdinando Sanfelice e miracolosamente scampata allo scempio del 2021. 

Gaspare Roomer fu il più famoso collezionista dell'epoca, in grado di far montare su tutte le furie il Celano che denunciava la penuria in città di dipinti di Bartolomeo Bassante o di Aniello Falcone, poiché Roomer soleva acquistare per sé ma anche spedire nelle Fiandre i dipinti napoletani. Si stimò che la sua collezione arrivasse allo strabiliante numero di 1500 dipinti. Finanziatore dei viceré e dello stesso re di Spagna, Roomer accumulò grandi somme di denaro dalla vendita e dal noleggio di navi per la corona, soprattutto nel contesto della Guerra dei Trent'anni. Divenne così noto a Napoli per la sua ricchezza che, come dice De Dominici, esisteva un proverbio per quando qualcuno prendeva in prestito una grande somma di denaro: E che, mi hai preso per Gasparo Romolo?

La chiesa del Rosariello era posta al confine di un'area che in tempi remoti era sacra, adibita al seppellimento dei defunti: il borgo dei Vergini (dove, nella Neapolis greca, risiedeva la fratria degli Eunostidi, i seguaci di Eunosto dediti alla castità) e il rione Sanità (costellata di segni sacri). Qui scorrevano le lave dei Vergini, che segnavano un confine naturale tra l'area urbanizzata e la parte ancora selvaggia. Le acque, attraverso il vallone San Rocco, via Stella, via Fontanelle e via Miracoli, confluivano nella Sanità, fino a piazza Cavour e, appunto, via Foria. A lava, a lava. Quel torrente ingrossato da tanti ruscelli minori che scendevano da Capodimonte, dai Colli Aminei, dai Cristallini, dallo Scudillo, da Miradois, prendeva, quando arrivava a Foria, «tutta la maestà e l'imponenza di un fiume irato che non trovava ostacoli e tutto abbatteva nel furibondo suo corso», come scrisse de La Ville sur-Yllon in un celebre articolo comparso sulla rivista «Napoli nobilissima» e dedicato a Foria, alla lava dei Vergini e al Largo delle Pigne, l'attuale piazza Cavour. Un destino scritto sull'acqua. 

I Conservatori erano comunità di donne (senza obbligo formale di voti solenni e non soggette al vincolo della clausura) che, letteralmente, si ritiravano dal mondo. Donne periclitanti o pericolate, né mogli né monache; pur volendo, non potevano essere accolte nei monasteri a causa della dote inadeguata. Chi erano, dunque, le «monache di conservatorio»? Ce lo spiega la storica dell'arte Pamela Palomba, che con l'associazione Locus Iste ha condotto numerosi studi e ancora oggi organizza frequenti visite nella chiesa del Rosariello. «Erano figure femminili diverse dalle bizzoche che nella Napoli della fine del XVI secolo pullulavano nelle case e tra le strade della città. Non pronunciavano voti solenni ma cionondimeno vivevano come se fossero monache a tutti gli effetti, purché, almeno a partire dal decreto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari del 1616, avessero raggiunto almeno quarant'anni, fossero di buoni costumi, avessero scelto di vivere in castità. Spesso le troviamo denominate terziarie, dette anche bizzoche professe. Non possono però vestire il velo, il sottogola e la pazienza (sorta di camice senza braccia e lungo fino ai piedi), parte dell'abbigliamento riservato unicamente alle monache vere e proprie che abbiano pronunciato voti solenni».

Con l'ampliamento delle mura, promosso dal viceré don Pedro de Toledo nel 1537, nella zona si costruirono i primi edifici, in particolare il Palazzo della Cavallerizza (oggi Museo Archeologico Nazionale) e la zona bassa della Stella, detta le Cavaiole perché vi risiedevano le famiglie di quei della Cava (cioè Cava De' Tirreni), raggiungibile tramite un ponte costruito nell'ambito dell'edificazione della porta di Costantinopoli, il quale scavalcando il fossato collegava la zona con la porta e quindi con la città. 

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