Vico e altri fantasmi, il genio che sfidò la morte tra i libri di Spaccanapoli

Corsi e ricorsi sotto lo stesso cielo

Bliblioteca dei Girolamini
Bliblioteca dei Girolamini
Domenica 1 Ottobre 2023, 10:21
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«Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l'antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia» (Luis Sepúlveda)

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Nacque letteralmente immerso tra gli odori della carta stampata, e tra quegli odori crebbe, potendo così attingere alla fonte del sapere sin dalla giovane età. A sette anni, mentre aiutava il padre a prendere un libro da uno scaffale, cadde da una scala e batté la testa. Perse conoscenza e per cinque ore restò tra la vita e la morte; poi, lentamente, si riprese. Dopo qualche giorno gli venne diagnosticato un tumore. Il medico che lo prese in cura, tale Cesare Basso, gli aprì la testa come una noce; poi pronosticò per quel ragazzino dalla salute inferma la morte precoce o «l'idiozia perenne». Quel ragazzino era Giambattista Vico, figlio di un piccolo libraio di via San Biagio dei Librai, don Antonio de Vico. Non morì, anzi campò altri settant'anni. E nemmeno sprofondò nella demenza: viceversa, diventò un gigante del pensiero, il filosofo dei «corsi e ricorsi storici», universalmente riconosciuto come una delle menti più talentuose e brillanti dell'illuminismo partenopeo.

In passato si credeva che Giambattista Vico, il filosofo dal carattere «malinconico ed acre», fosse nato in piazza dei Girolamini, e per questo motivo nel bicentenario della sua nascita fu posta la targa commemorativa che, da tempo immemore, rischia di crollare. Il palazzo dei Girolamini dove fu posta la targa è lo stesso dove il misterioso Banksy, nel 2004, disegnò la famosa Madonna con la pistola. Nel 1985 Ettore Scola ambientò proprio in quell'edificio, all'ultimo piano, una delle scene più intense del suo film Maccheroni: è la scena nella quale Antonio Jasiello (Marcello Mastroianni) porta l'amico Robert Traven (Jack Lemmon) a conoscere la sua vecchia madre, che trascorre il suo tempo sulla splendida terrazza affacciata sul complesso dei Girolamini.

È anche la scena nella quale Jasiello-Mastroianni declama il suo famoso monologo sulla morte, davanti a un affascinato Lemmon, prima che l'anziana donna, accusata di non capire, liquidi entrambi con un perentorio: «Io capisco tutte cose, e mo' te manno affanculo a te e all'amico tuoio».

Dunque, nel palazzo dove visse Vico, Scola trasformò il grande Mastroianni, per l'intera durata di una scena da antologia, in un filosofo. «Tu non conti niente, morte! Tu vorresti essere importante, presa in considerazione come la vita, eh? Ma la vita dura una vita, cara mia. E invece tu, morte, tu duri solo un momento. L'istante in cui ti presenti. Insomma, bisogna essere seri: alla morte non si deve dare spago!».

Corsi e ricorsi sotto lo stesso cielo: ai Girolamini i filosofi sfidano la morte. La casa natale di Vico è invece in via San Biagio dei Librai 31, dove aveva la sua bottega di libraio Antonio Vico, suo padre. In piazza dei Girolamini, accanto alla Chiesa dei Padri dell'Oratorio, Vico si trasferì nel 1704, dopo aver vinto la cattedra di retorica all'Università. In mezzo vi fu la residenza di vico dei Giganti, in una casa di proprietà dei Padri Filippini. Di recente il giurista ed araldista Nicola Pesacane, studioso napoletano già autore di numerose pubblicazioni di carattere storico-araldico-genealogico, ha dedicato alla «genealogia completa e inedita» di Vico un piccolo ma prezioso volume, corredato da un ricco apparato iconografico. L'esistenza dell'autore della Scienza nuova fu interamente racchiusa nel dedalo di viuzze del centro antico della città. Dal 1737 al 1741 il filosofo si trasferì tra la zona dei Tribunali e Forcella, e precisamente in via delle Zite, in un'abitazione di proprietà di tale Marcantonio Principe. Appassionante (e quasi poliziesca) anche la ricerca del palazzo dove Vico visse gli ultimi mesi della sua vita e dove morì, il 23 gennaio 1744, in un «quartino» di proprietà dei padri Teatini. A partire dagli studi della professoressa Marielva Torino, pubblicati nella collana «Studi vichiani», e dal testamento di Gennaro de Vico, penultimo figlio del filosofo e suo successore nella cattedra di Retorica, Pesacane - di ricerca in ricerca, di archivio in archivio - concentra la sua attenzione sull'edificio al numero 9 di via SS. Apostoli (oggi corrisponde al civico 12), quasi di fronte all'imbocco del vico Santa Maria Vertecoeli. Gennaro, che era celibe e senza figli, continuò ad abitare nella casa del padre succedendogli nel contratto di locazione con i padri Teatini.

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Si concludeva davanti alla casa natale di Giambattista Vico il pellegrinaggio laico che, proprio come un rosario, sgranava tutte le mattine don Benedetto Croce. Il grande filosofo, quando usciva dal suo splendido Palazzo Filomarino, a Spaccanapoli, amava percorrere sempre le stesse strade: cominciava ogni volta dalla salita di San Sebastiano, per poi raggiungere via Costantinopoli e via Foria, incrociando così i librai antiquari di Port'Alba, fino a ultimare il tragitto in via San Biagio dei Librai.

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Molte delle notizie riguardanti la vita di Giambattista Vico sono tratte dalla sua Autobiografia, scritta tra il 1725 e il 1728 sul modello delle Confessioni di Sant'Agostino. Nella minuscola casa di via San Biagio dei Librai, dove i Vico vivevano in dieci tra ristrettezze di ogni tipo, Giambattista studiò da autodidatta perfezionando però gli studi di grammatica presso il collegio dei Gesuiti. Malinconico e taciturno, studiava notti intere sul bancone della scrivania paterna, che gli serviva da scrittoio. «Quante volte la madre, svegliandosi dal primo sonno, era costretta a gridargli dall'alto del suo mezzanino di aver pietà della sua salute rovinata e d'andare a dormire! Quante volte, nello scendere la mattina nella bottega, ella non lo ritrovò laggiù col volto disfatto di chi ha trascorso la notte nello studio» (F. Nicolini, La giovinezza di Giambattista Vico). Fu per assecondare il desiderio paterno che Vico si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si cimentò, come di consueto, in privati studi di diritto civile e canonico, prima di appassionarsi ai quesiti filosofici che lo avrebbero reso famoso. Nonostante le frequenti malattie e le feroci emicranie che lo tormentarono per tutta la vita (conseguenza della caduta dalla scala) e nonostante gli scoppi d'ira e le crisi di nervi, il figlio del libraio pubblicò - nel 1725, a cinquantasette anni - la prima edizione del suo capolavoro, la Scienza Nuova.

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Raramente i passanti, distratti dalle voci e dagli rumorosi traffici di Spaccanapoli, sollevano lo sguardo per leggere la grossa lapide apposta dal Comune di Napoli per ricordare la casa dove Vico nacque, il 23 giugno 1668. Vico morì all'età di 75 anni e fu sepolto nella chiesa dei padri dell'oratorio, detta dei Girolamini.

Le sue esequie furono funestate da un'insolita disputa tra i confratelli della congrega dei Bianchi di Santa Sofia, alla quale era iscritto, e i colleghi di Vico, docenti dell'Università di Napoli, su chi dovesse portare i fiocchi della coltre mortuaria. Il feretro era già stato calato nel cortile quando scoppiò una violenta lite tra religiosi e professoroni. Risultato: la bara venne riportata a casa e solo il giorno dopo il figlio Gennaro riuscì a far celebrare i funerali del padre nella chiesa dei Girolamini.

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