«Non capisco perché siete sempre così nervosi...». Mentre dai banchi dei Cinquestelle le proteste si fanno più insistenti, Giorgia Meloni si sforza di mantenere la tranquillità: «Mi si rinfaccia di alzare la voce, consentitemi almeno di dire quello che penso». E quello che pensa, la premier, torna a metterlo in chiaro in Senato alla vigilia del Consiglio europeo, dopo i fuochi d’artificio di due giorni fa alla Camera. A cominciare dalla trattativa sul Patto di stabilità. Sulle nuove regole di bilancio nell’Ue, avverte, «non escludo alcuna scelta», neanche «il veto», se il negoziato non dovesse dare esito favorevole. Archiviato (o quasi) il qui-pro-quo su Draghi, il colpo di teatro arriva però sul Mes, il fondo salva Stati che l’Italia non ha ancora ratificato, da giorni al centro del botta e risposta con il leader M5S Giuseppe Conte.
IL DOCUMENTO
Se martedì Meloni aveva accusato Conte di aver detto sì al Meccanismo di stabilità «con il favore delle tenebre», solo dopo essersi dimesso da Palazzo Chigi, ieri la premier è tornata a menare fendenti.
In ogni caso quello al Senato è il secondo atto di uno scontro cominciato 24 ore prima su più fronti, non solo Mes: Patto di stabilità, Superbonus, Europa. Il piatto forte del dibattito però restano le nuove regole di bilancio, per le quali Meloni paventa il «veto». «Non escludo nessuna scelta», spiega replicando all’intervento di Mario Monti (che uscendo va a stringerle la mano): «Credo si debba fare una valutazione di ciò che è meglio per l’Italia, sapendo che se non si trova un accordo torniamo ai parametri precedenti. Farò tutto quello che posso. Siamo ancora lontani, ma non posso non esprimere soddisfazione per qualche passo avanti». Poi cita i dati positivi su occupazione e Pil, che prima «crollava» e «con noi va meglio», e di nuovo individua il bersaglio in Conte (che a sera le replica con un video: «Bugie, a portare l’Italia nel Mes fu il governo Berlusconi di cui facevi parte: ora assumiti le tue responsabilità»). «Col suo governo – lo bacchetta invece Meloni – con il prodotto interno lordo accadde quello che gli economisti chiamano il rimbalzo del gatto morto».
Infine contrattacca sul patto sui migranti con l’Albania, e stavolta se la prende col Pd che «fa il possibile per smontarlo. E questo la dice lunga su chi antepone gli interessi di partito a quelli della nazione». Gli attacchi delle opposizioni sul tema delle alleanze europee, del resto, rimangono all’ordine del giorno. E la premier ancora una volta replica: «Ricordo la sinistra che parlava di Paesi di serie A e B», tra cui «quelli di Visegrad. Ma ora che in Polonia c’è Tusk, è di serie A o B?». L’Italia, rivendica Meloni, «è tornata al centro delle trattative europee». E senza svelare di chi stia parlando racconta di un «collega» che gliene aveva riconosciuto il merito in un’intervista, per poi vedere che il virgolettato su di lei era stato cancellato. Le opposizioni, intanto, la incalzano. Da Antonio Misiani del Pd («Ratificate il Mes il prima possibile, basta fiera delle ipocrisie») a Carlo Calenda («Sappiamo che sarà approvato, da parte di tutti c’è una posizione delirante»). Mentre Matteo Renzi chiede di portare il tema in Parlamento, e sferra il colpo su Draghi: «Invece di criticarlo, cerchi di copiarlo». In tarda serata bilaterale a Bruxelles tra Meloni e Macron in uno storico albergo del centro, dopo un breve scambio con il cancelliere tedesco Scholz.