Turchia. Erdogan evoca la pena di morte e si dà appuntamento con Putin

Turchia. Erdogan evoca la pena di morte e si dà appuntamento con Putin
di Cristoforo Spinella
Lunedì 18 Luglio 2016, 08:34 - Ultimo agg. 10:20
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Istanbul. Il fallito colpo di Stato in Turchia scatena una crisi internazionale con gli Stati Uniti. Mentre la reazione interna si traduce in oltre 6mila arresti in poco più di 24 ore e l’annuncio di un possibile ritorno alla pena di morte, il presidente Recep Tayyip Erdogan si scaglia contro Washington, chiedendo l’estradizione di Fethullah Gulen, l’imam e magnate che accusa di essere la mente del tentativo di golpe. Toni che il segretario di Stato John Kerry respinge come «irresponsabili», invitando Ankara a fornire le prove del suo coinvolgimento. 

A lanciare le accuse più dure è stato il ministro del Lavoro turco, Suleyman Soylu, suggerendo apertamente che dietro il fallito golpe ci sia la mano di Washington. Un attacco diretto poi non rilanciato da altri membri dell’esecutivo, ma che dà il senso della tensione tra le cancellerie. Kerry ha replicato parlando di «pubbliche insinuazioni» e spiegando che i sospetti «sono totalmente falsi e danneggiano» i rapporti. Mentre Obama, almeno per il momento, ha preferito tacere in pubblico, sfogando con il suo staff tutta la sua delusione verso il sultano. 

Gli Stati Uniti comunque, ha precisato ancora Kerry, non hanno ancora ricevuto alcuna richiesta formale di estradizione per Gulen. Dal 1999, l’imam e magnate vive in auto-esilio in una tenuta super-protetta in Pennsylvania, dove secondo analisti dell’intelligence turca avrebbe iniziato a pianificare il golpe già da 8 mesi. 
In questo braccio di ferro diplomatico, a rischio potrebbe esserci anche il futuro della base aerea di Incirlik, nel sud della Turchia, da cui partono i raid contro l’Isis della Colazione internazionale a guida Usa. Proprio lì, ieri le forze di sicurezza turche sono entrate per arrestare il capo della base, il generale Bakir Ercan Van, accusato di aver collaborato con i golpisti. In questo scenario, nelle formidabili giravolte della geopolitica di frontiera, la Russia di Vladimir Putin sembra ritornare la sponda preferita nel doppio gioco di Erdogan con le cancellerie occidentali. Qualche ora fa, i due leader sono tornati a parlarsi. Al telefono, Putin ha espresso la sua solidarietà, confermando il sostegno al «governo democraticamente eletto» e promettendo «presto» un incontro. Secondo la presidenza turca, già la prima settimana di agosto. Potrebbe essere quella l’occasione per testare la «nuovissima vecchia alleanza» con lo zar sul terreno più delicato: la crisi siriana. Il flirt tra Erdogan e Putin è appena ricominciato. E il leader turco pare intenzionato a sfruttarlo come arma di ricatto nei confronti di Washington.

Si aggrava intanto il bilancio ufficiale delle vittime di scontri e bombardamenti della notte tra venerdì e sabato. Secondo il ministero degli Esteri, sono oltre 290 i morti, di cui più di 190 civili. Tra questi, anche l’amico personale ed ex consigliere per i media di Erdogan, Erol Olcak, ucciso dai militari golpisti sul ponte del Bosforo a Istanbul con il figlio 16enne, Abdullah. Ieri pomeriggio, al suo funerale, il presidente è scoppiato in lacrime. «Il governo discuterà con l’opposizione la reintroduzione della pena di morte», ha poi spiegato in un nuovo bagno di folla a Istanbul, mentre i suoi sostenitori invocavano l’esecuzione dei putschisti. Un’ipotesi che già allarma diversi Paesi alleati e le organizzazioni non governative, che chiedono chiarezza anche sulle notizie sempre più insistenti di abusi e torture sui golpisti in carcere. Le purghe di presunti «gulenisti» proseguono senza sosta. I 6mila già in manette, ha lasciato intendere il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, sono solo l’inizio. «Faremo pulizia all’interno di tutte le istituzioni dello Stato del virus» dei sostenitori di Gulen, ha assicurato Erdogan. Un pugno di ferro che non ha risparmiato ieri neppure il suo più stretto consigliere militare, il colonnello Ali Yazici, accusato di averlo tradito.

Il Consiglio supremo dei giudici e procuratori turchi (Hsyk), intanto, ha già ordinato l’arresto dei 2.745 magistrati che erano stati rimossi dai loro incarichi. Al Sabiha Gokcen, il secondo aeroporto di Istanbul, sulla sponda asiatica, ci sono stati scontri tra le forze di sicurezza dopo un tentativo di resistenza all’arresto da parte di 11 militari, poi finiti in manette. Una scena analoga si è registrata nella base militare di Konya, nell’Anatolia centrale, finita con 7 arresti. Nel frattempo, è stato riportato in Turchia l’elicottero Balckhawck con cui 8 militari erano fuggiti in Grecia dopo il putsch.
Già nelle prossime ore dovrebbe essere discussa la richiesta di asilo dei soldati, che si dichiarano innocenti e sostengono di essere anzi fuggiti per paura dei golpisti. Ma Erdogan non ha dubbi: «La Grecia concederà l’estradizione in 15-20 giorni». Per le strade, infine, il clima resta surreale. La sera la gente si riversa nelle strade tra bandiere e inni ad Allah. «Non lasceremo le piazze», invoca Erdogan. E i turchi obbediscono.

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