Terremoto, la stessa potenza dell’Irpinia nell’80 ma oggi senza morti: ecco perché

Terremoto, la stessa potenza dell’Irpinia nell’80 ma oggi senza morti: ecco perché
di Emanuele Perugini
Lunedì 31 Ottobre 2016, 18:43 - Ultimo agg. 1 Novembre, 09:19
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Una scossa potente, lunga, forte, carica di energia ieri ha raso al suolo quanto ancora rimaneva in piedi a Ussita, Norcia, Castelluccio e negli altri centri della Valnerina già profondamente provati dalle scosse dei giorni precedenti. Una scossa davvero molto potente che ha provocato piccoli danni anche a Roma e che si è sentita distintamente a Napoli, ma anche in Puglia e perfino a Bolzano. Sulle prime, diversi centri di ricerca l’avevano classificata 7,1 della scala Richter. 

Stime di calcolo successive, basate sull'analisi di dati provenienti da altre centraline della rete sismica nazionale hanno rivisto questo valore al ribasso: 6,5. Non è poco, se si pensa che la prima scossa di questo sciame sismico, quella che il 24 agosto ha raso al suolo Amatrice e Accumoli era di 6.0 Richter. Il paragone con il terremoto dell'Irpinia è stato immediato. Del resto per spiegare e descrivere cosa è successo ieri mattina alle 7,41 a Norcia il paragone con un altro evento colossale aiuta di più che non un semplice paragone tra numeri freddi di una scala che è difficile da spiegare. Certo l'ordine di grandezza della scossa di Norcia è simile a quella che 36 anni fa devastò la Campania e la Basilicata e causò oltre tremila vittime. Alcuni aspetti della dinamica della sequenza sismica furono molto simili, tuttavia, le differenze sono notevoli e ogni accostamento rischia di essere eccessivo.

Contagio sismico

Uno degli aspetti che più colpiscono del terremoto in Umbria è che sembra essere il prodotto di una sorta di contagio sismico. Il terremoto si propaga da un'area attigua all'altra provocando una serie interminabile di scosse. Una sequenza che i ricercatori del Consiglio nazionale delle Ricerche (CNR) hanno definito di «contagio sismico». «Ogni volta che si sviluppa un terremoto lungo una superficie di faglia, la zona ipocentrale si scarica (rilassamento) e vengono caricati i volumi adiacenti (lateralmente) alla faglia stessa. Questi volumi - spiega Andrea Billi ricercatore dell'Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) - sottoposti ad un nuovo stato di stress, possono cedere (rompersi) e generare terremoti a loro volta». «Si tratta di processi di propagazione laterale della sismicità (contagio) relativamente frequenti - aggiunge - già osservati in altre aree sismiche della Terra come per esempio in Turchia, California e Haiti».

Irpinia tre terremoti in uno

Lo stesso meccanismo si era verificato anche in occasione del terremoto dell'Irpinia. Sfortunatamente però «i tempi di attivazione della sequenza - spiega Concetta Nostro dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) furono sostanzialmente diversi» perché in quella occasione le varie tessere del domino, e cioè i segmenti di faglie contigue interessati si attivarono in tempi rapidissimi: «Si calcolano circa venti secondi di distanza» dice Nostro. In pratica è come se le due scosse del 26 ottobre scorso e quella di ieri mattina si fossero concentrate tutte insieme nel giro di un minuto. Questa concentrazione di fuoco ha prodotto notevoli differenze tra i due terremoti.

Una potenza devastante

«Questa dinamica particolare - spiega Edoardo Cosenza, docente di ingegneria strutturale all'Università Federico II di Napoli - è stato uno dei fattori più importanti che hanno spiegato perchè in Umbria, pure in presenza di un terremoto molto forte, non ci siano state vittime. Intanto la prima scossa del 26 ottobre - aggiunge - è stata abbastanza forte da spingere le persone fuori dalle loro abitazioni, ma non così forte da radere al suolo gli edifici. Quando sono arrivate le altre due scosse, gran parte della popolazione era già stata allontanata. In Irpinia invece tutto è successo subito quando le persone erano in casa, una sera poco prima di cena di domenica».
C'è anche un altro elemento: l'area geografica è molto poco popolata e la zona direttamente colpita è molto più circoscritta. «Parliamo di un rapporto di uno a quattro in termini di area colpita, spiega Cosenza. In Irpinia, l'area interessata dalle fratturazioni, era ampia circa mille chilometri quadrati. Qui in Umbria, siamo molto al di sotto di questa cifra».

La resistenza delle abitazioni

«Uno dei parametri che più mi hanno colpito di questo terremoto in Umbria, è quello dei dati relativi alla accelerazione laterale che hanno subito gli edifici della zona. Si chiama accelerazione laterale e si misura in g dove la g indica l'accelerazione di gravità, la stessa che si usa per misurare la fatica dei piloti di Formula 1. I valori registrati tra Norcia (0,5 g) e Amatrice (0,7 G) sono i più alti mai registrati in Italia» spiega Cosenza. «Penso che in Irpinia si ebbero valori anche più alti, ma allora non avevamo tutti gli strumenti che abbiamo ora a disposizione». Questo valore e la dinamica con cui si manifesta questa accelerazione sono un fattore chiave per valutare l'effetto del terremoto sugli edifici. Anche la forma degli edifici è importante, oltre alle tecniche di costruzione. «Ad Amatrice le case molto basse e rigide hanno ricevuto maggiori azioni dalle onde sismiche e sono state distrutte, e con loro le persone che stavano dormendo», aggiunge Cosenza.

Costruzioni sicure

A distanza di trentasei anni dal terremoto dell'Irpinia le tecniche di costruzione anche in chiave antisismica sono cambiate radicalmente. «In questo campo - spiega l'ingegnere - sono stati fatti passi in avanti da gigante. Per esempio, sono stati sviluppati sistemi che riescono ad isolare sismicamente gli edifici. Questo permette loro di reagire molto meglio e con maggiore sicurezza anche a terremoti di grande intensità. Se non ci sono state molte vittime è anche perché buona parte delle case hanno tenuto, segno che in Umbria, dopo il terremoto del 1997 c'è stata una buona ricostruzione. Le tecnologie ci sono».
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