Il sistema delle false fatture della Karibu ruotava soprattutto intorno all’associazione di promozione sociale “Jambo Africa” che aveva la stessa sede della coop della suocera di Soumahoro, utilizzava lo stesso dominio web e soprattutto non aveva utenze intestate, né locali in affitto. Secondo il giudice Giuseppe Molfese era in sostanza un’associazione “schermo”, la cui «unica risorsa palese è il personale di per sé del tutto insufficiente a garantire le prestazioni». Secondo l’accusa, in sostanza, la Jambo era stata costituita solo «per prestare manodopera alla Karibu, secondo collaudati schemi illegali di esternalizzazione, per evitare o ridurre i costi».
Non solo. La finta associazione veniva «utilizzata in un meccanismo fraudolento di fatture per operazioni inesistenti, onde giustificare a posteriori le uscite di denaro che la Karibu aveva l’obbligo di rendicontare nell’ambito dei progetti Sprar e Cas». Operazioni inesistenti per somme di oltre due milioni di euro.
Gli investigatori hanno ascoltato diversi lavoratori delle cooperative riconducibili agli indagati, alcuni dei quali hanno raccontato dettagli inquietanti. «Molti ospiti del progetto Sprar si allontanavano dalle strutture per ricongiungersi ai familiari e di questi i responsabili della Karibu venivano informati immediatamente, ma non provvedevano a espungerli dalla lista, tenendoli appesi per tre o quattro mesi, continuando così a percepire il contributo per l’ospite che in realtà si era allontanato», riferisce una ex lavoratrice.
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TUTTO IN FAMIGLIA
Il sistema dell’accoglienza a gestione familiare, descritto dagli investigatori, mostra radici ben salde in un intreccio di cooperative, consorzi, associazioni che alla fine riportavano sempre agli stessi nomi. I ruoli venivano spesso scambiati, ma l’obiettivo era il medesimo: ottenere i finanziamenti per la gestione dei progetti di accoglienza. Il giudice Molfese usa parole pesanti per descrivere il sistema della Karibu in mano a Marie Therese Mukamitsindo e ai figli Michel Rukundo e Liliane Murekatete, moglie del deputato Soumahoro. I tre «hanno mostrato elevata spregiudicatezza criminale nell’attuare un programma delinquenziale, a gestione familiare, protratto nel tempo» scrive il giudice. Il sistema delle false fatture consentiva di «portare in deduzione dei costi mai effettivamente sostenuti, relativi a prestazioni inesistenti, beneficiando di finanziamenti pubblici, distratti dalle finalità preposte». I magistrati sottolineano come tutto ciò abbia portato a conseguenze drammatiche per i migranti abbandonati in appartamenti fatiscenti, al freddo e spesso senza cibo adeguato.