Picchia la fidanzata e le strappa i vestiti. Poi minaccia di morte la madre di lei. «La nostra vita è un inferno»

Picchia la fidanzata e le strappa i vestiti. Poi minaccia di morte la madre di lei. «La nostra vita è un inferno»
Picchia la fidanzata e le strappa i vestiti. Poi minaccia di morte la madre di lei. «La nostra vita è un inferno»
di Alfredo d'Alessandro
Lunedì 19 Febbraio 2024, 07:46 - Ultimo agg. 10:13
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La goccia che ha fatto traboccare il vaso, in una relazione sempre sull’altalena, fra scenate di gelosia che sfociano in violenza e l’apparente ritorno ad un rapporto tranquillo, è caduta in un caldo pomeriggio d’estate quando, dopo averle strappato via il cellulare e le chiavi di casa, lui l’ha presa a calci e pugni, con una violenza tale da strapparle i vestiti di dosso, lasciandola praticamente in slip. Lui è un uomo di 37 anni e per quella vicenda è sotto processo accusato di rapina impropria, lesioni personali, minaccia, violenza privata e rissa, e il processo, in corso davanti al giudice monocratico del Tribunale di Chieti, Enrico Colagreco, sta svelando un quadro pesante di violenza.

È la madre della ragazza a raccontare cosa accade quel giorno, praticamente sotto casa di lui, dove aveva accompagnato sua figlia che era andata per riprendersi chiavi e telefono.

La figlia, dopo aver chiesto in prestito il cellulare a una donna incontrata alla fermata dell’autobus, aveva telefonato alla madre che è andata a prenderla. «Mentre parcheggiavo, lei è scesa dalla macchina di colpo, è salita per le scale.

Io, nel breve tempo impiegato per parcheggiare e cercare di raggiungerla, sentivo solo le urla, tutta la gente intorno che mi guardava. Chiedevo di aiutarmi e nessuno si faceva avanti, nessuno usciva a darmi una mano, mentre lui continuava a menarla - ha raccontato la donna, rispondendo alle domande del pm Natascia Troiano -. L’ha trascinata lungo le scale di casa, dove lui urlava che lei lo menava ma in realtà lui la teneva per il braccio e la menava, e io tiravo mia figlia verso di me».

Una scena alla quale, a quanto pare, assistono diverse persone, in pieno pomeriggio, richiamate dalle grida e dal trambusto, ma nessuno interviene. «L’ha riempita di calci e pugni, le ha strappato tutti i vestiti di dosso, sono riuscita a tirarla fuori da casa senza vestiti, a scappare per le scale, lui ci rincorreva e ci tirava i bidoni della spazzatura addosso. Sono riuscita a portare mia figlia giù in mutande, e a portarla via. Lui si era già preparato lo zaino che doveva scappare, poi è arrivata l’ambulanza».

Ma c’è una parte ancora più cruda, quella che un capo di imputazione non racconta: «Ha detto che ci ammazzava a tutte e due, che ci veniva a mettere fuoco a casa, che aveva chiamato i suoi cugini zingari, lui ha sempre ricattato mia figlia dicendole che avrebbe fatto venire i suoi cugini zingari a metterci fuoco a casa». Poi la donna rievoca «tutte le volte che lui ha picchiato mia figlia, quando gli ha fratturato la costola, quando mia figlia è sparita per un mese, lui l’ha sequestrata per un mese. Lei aveva sempre lividi alle gambe». Ma alla richiesta di spiegazioni della madre circa i lividi, le risposte della ragazza erano tutt’altro che convincenti: una caduta dalla bicicletta oppure per le scale. «Questo soggetto ci ha devastato la vita - ha concluso la madre della ragazza - con quest’uomo io ho vissuto l’inferno». Da quel pomeriggio di violenza la relazione è finita, ma le ferite dell’anima sono ancora aperte. 

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