Renzi e Marchionne, il patto americano fra due game changer

Renzi e Marchionne, il patto americano fra due game changer
di Diodato Pirone
Venerdì 26 Settembre 2014, 12:45 - Ultimo agg. 13:03
2 Minuti di Lettura
Le fabbriche Fiat Chrysler Automobiles di Detroit e un faccia a faccia con Sergio Marchionne sono, oggi pomeriggio, gli ultimi appuntamenti del lungo tour americano di Matteo Renzi iniziato in California luned scorso.

La visita sugella la spettacolare resurrezione di Chrysler che, sia per la ripresa velocissima dell’economia Usa sia per la gestione di Marchionne, forse in questo momento l’italiano più famoso d’America, è passata in appena cinque anni dalla bancarotta al raddoppio della produzione d’auto.

A Renzi fanno sicuramente piacere gli effetti benefici sull’economia italiana della fusione Fiat-Chrysler che consente a Marchionne di non licenziare in Italia e anzi di avviare proprio in questi giorni la produzione di una Jeep, la Renegade, nel rinato stabilimento lucano di Melfi.



Meno piacevole per il premier, anche se in pubblico non si è mai pronunciato, la decisione di Marchionne di spostare in Olanda e in Gran Bretagna le sedi legali e quelle fiscali del Lingotto.



Tuttavia la visita di Renzi nell’enorme quartier generale di Auburn Hills (il secondo palazzo più grande d’America dopo il Pentagono), e soprattutto nelle fabbriche rinate di Detroit dove già da due anni si lavora 24 ore al giorno, vuole essere soprattutto un messaggio di speranza e di sprovincializzazione per l’Italia. Che resta il secondo paese manifatturiero d’Europa e ha un disperato bisogno di investimenti esteri e di nuove fabbriche per uscire dalla crisi.



In questo quadro la fusione Fiat-Chrysler dimostra che l’industria italiana ha ancora molto da dire al mondo e conserva segni di vitalità insospettata e talvolta più apprezzata all’estero che in Patria. Non va dimenticato, infatti, che Chrysler negli anni ’90 fu guidata dai tedeschi della Daimler che non riuscirono a capirne le potenzialità e furono costretti a venderla dopo averci rimesso oltre 30 miliardi di dollari. Insomma Marchionne, per Renzi, potrebbe essere un ottimo testimonial nel mondo delle opportunità che potrebbe offrire un’economia italiana più efficiente.



C’è poi un aspetto personale nel rapporto fra Marchionne e Renzi che non va sottovalutato. I due si piacciono perché sono due “game changer” fin dall'abbigliamento (il mitico maglioncino per Sergio, la camicia bianca per Matteo). Due bulldozer che intendono sciogliere i lacci che imprigionano la loro azione. Entrambi non soffrono di complessi d’inferiorità. E, ancora, entrambi sono di indole solitaria anche se il manager del Lingotto nel tempo ha costruito una squadra di collaboratori di tutto rispetto con i quali guida Torino e Detroit mentre la squadra del premier è uno dei suoi punti deboli. In passato i due hanno anche battibeccato per via di una battuta di Marchionne su Firenze che il manager italo-canadese ha sempre smentito d’aver pronunciato. Un’ombra dimenticata. I due non hanno tempo da perdere e la crisi li costringe a lavorare a braccetto.