Due sguardi in giallo nella Napoli dei misteri

Due sguardi in giallo nella Napoli dei misteri
di Pietro Treccagnoli
Mercoledì 12 Novembre 2014, 23:38 - Ultimo agg. 23:48
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Alicia Giménez-Bartlett ha l’aspetto di uno scricciolo da combattimento. Minuta, ma passo svelto, uno sguardo che non si lascia sfuggire nulla e l’orecchio attento a ogni suono. Ascoltandola si scopre da dove scaturiscano il sarcasmo e l’ironia che condiscono le storie del suo alter-ego, l’ispettrice dall’ossimorico nome di Petra Delicado, polizia di Barcellona.

La scrittrice spagnola è a Napoli per il ciclo «Giallo» e stasera sarà a San Domenico Maggiore a discutere di poliziesco, di città e di Napoli e Barcellona con Maurizio de Giovanni, mettendo a confronto due sguardi mediterranei sul mondo, oltre il poliziesco.



Grazie alla pioggia che ha concesso una tregua, la coppia, accompagnata dalla direttrice del Cervantes, Luisa Castro, s’è goduta un’anteprima, sotto forma di una passeggiata, breve, ma intensa, sulle tracce (qualcuna delle tracce) del commissario Ricciardi, il protagonista della serie più fortunata di de Giovanni.



Da piazza dei Martiri, lungo via Chiaia, fino a Santa Brigida, con i Quartieri Spagnoli a incombere, la spagnolissima Toledo a fare da battistrada e con qualche tappa eloquente che ha sedotto la Giménez-Bartlett.



«Non è la prima volta che vengo a Napoli» ha chiarito subito la scrittrice. «Ma non posso dire di conoscerla come vorrei».



Ha mai pensato di ambientare un romanzo a Napoli?



«Non ancora. Però, ho già narrato di Roma». Gli spunti sarebbero tanti. Del resto sono il pane quotidiano di un nutrito drappello di narratori, tra i quali spicca per popolarità e successo proprio de Giovanni, non solo con Ricciardi, ma anche con
«I bastardi di Pizzofalcone», dei quali è in arrivo, a giorni, una nuova, attesa, puntata «Gelo».



Poche fermate. La prima è al Chiaja Hotel de Charme, dove è ambientato
«Vipera» dello scrittore napoletano. Qui fino al 1958 c’era «La Suprema», il bordello più famoso di Napoli, de charme, anch’esso, a suo modo.



E qui, de Giovanni comincia a sfoderare le sue abilità seduttive di cicerone. L’albergo ha conservato alcuni cimeli dell’epoca, compreso un tariffario del 1927. Ha persino segnalato alcune stanze con i nomi delle ragazze più appetibili: insieme ad Anastasia ’a Friulana, c’è pure una Nanninella ’a Spagnola, che di iberico avrà avuto forse solo la sua discesa e discendenza dai Quartieri, come Lilì Kangy.



«Un bordello che diventa hotel è interessante» commenta la Giménez-Bartlett. «Però narrativamente, sarebbe più interessante un hotel che diventa un bordello». Ecco la zampata dello scricciolo. Inevitabile la sosta al Gambrinus, dove c’è sempre un tavolo riservato per Ricciardi, accanto alla porta che mena a piazza del Plebiscito. Ora è sbarrata dalle impalcature esterne.



La Napoli impacchettata sconcerta la scrittrice. Non c’è un edificio che ne sia immune dalla Prefettura, a Palazzo Reale, alla Galleria, al San Carlo, alla Basilica. Una necessità dettata da anni di manutenzione fantasma e dalla morte del giovane di Marano. «Incredibile» scuote la testa l’inventrice di Petra.



Ma l’atmosfera Belle Epoque del caffè di Di Giacomo, della Serao, di D’Annunzio la lascia senza parole. «È all’altezza di quelli di Vienna» riesce a dire.
Qui, davanti a uno spritz si scioglie pure la sua curiosità. Ed è tutto un chiedere e rispondere su Napoli, le passioni e le superstizioni di una città, a cominciare dal corno apotropaico, sfoggiando una conoscenza inaspettata del cinema italiano: da Totò (con i suoi film ambientati a Madrid) a Paolo Sorrentino e Servillo-Gambardella: «Anche Napoli ha angoli straordinari che ricordano
«La Grande Bellezza». Bisognerebbe celebrarli con altrettanto clamore».



Ma che cosa la colpisce di primo acchito di Napoli? Qual è la prima immagine che vede, quando sente nominare Napoli? «La gente». Il calore della gente?



«Anche, ma soprattutto la quantità di gente che c’è per strada, sempre a tutte le ore». La folla, insomma. In Spagna non ce n’è? «Ce n’é, ma non con la allegria di Napoli». E per strada scherza su quante persone conoscano e si fermino a salutare de Giovanni.



A lei non succede a Barcellona?



«No».



Non la riconoscono?



«Mi riconoscono, certo, ma sono più discreti. Anche quando vengono a farsi firmare la copia di un libro, durante le presentazioni, lo fanno fingendo di essere passati per caso, non di essere venuti apposta». Noi, invece, ci facciamo sempre riconoscere. E, in questi casi, è meglio così. Però, dopo il passaggio sotto le volte della Galleria Umberto, c’è una sorpresa anche per Alicia. L’edicolante di via Santa Brigida è un suo fan e la riconosce. Inevitabile la foto, prima di infilarsi da Ciro per scoprire i misteri e i piaceri della genovese che a Barcellona non conoscono, ma neppure a Genova. Siamo tutti mediterranei, ma ciascuno a suo modo e, pure a tavola, amiamo mescolare le carte e la semantica.
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