Chicco Cerea: «I grandi numeri
si fanno se c'è organizzazione»

Chicco Cerea
Chicco Cerea
di Francesco Aiello
Lunedì 24 Aprile 2017, 17:50
3 Minuti di Lettura
«Cucinare bene per venti ospiti nel tuo ristorante è una grande soddisfazione, ma l'adrenalina allo stato puro comincia a circolare quando ti chiamano per far da mangiare a cinquemila persone che vanno servite in un'ora e mezza». Parola di Chicco Cerea del ristorante da Vittorio a Brusaporto. Non a caso proprio i Cerea, tra ristorante gourmet (Tre Stelle Michelin, Tre Cappelli de L'Espresso, tre Forchette Gambero Rosso, nonché membro di Les Grandes Tables du Monde, Relais & Châteaux e Euro-Toque), location per eventi, servizio catering, pasticceria e scuola di cucina, rappresentano uno dei pochi esempi in Italia di impresa del food capace di coniugare altissima qualità e grandi numeri.
Qual è il segreto per riuscire a replicare un piatto di alta cucina per migliaia di persone?
«È frutto di un mix ben calibrato tra una rigida organizzazione e regole operative ben definite che partono dalla scelta dei piatti da proporre. La fase di pianificazione è fondamentale mentre per la realizzazione impieghiamo squadre di collaboratori, ciascuno dei quali ha una responsabilità precisa. Poi c'è la logistica: veicoli, cucine, tavoli e sedie, tovagliato e piatti. La questione è molto complessa, anche perché in alcuni casi siamo chiamati a intervenire direttamente sulle strutture nelle quali operiamo con elettricisti, idraulici e falegnami»
In questo discorso sembra quasi che la cucina venga in secondo piano
«La finalità della fase di pianificazione e dell'intera organizzazione è proprio quella di salvaguardare l'alta qualità della cucina che resta la principale garanzia che offriamo ai nostri clienti. Una volta i ristoranti cosiddetti gourmet erano la meta di un ristretto novero di clienti colti e appassionati, che affrontavano viaggi anche lunghi pur di sedersi a una certa tavola. Oggi la clientela è più ampia e variegata ed ha modalità diverse per fruire dell'esperienza dell'alta cucina, tra le quali rientrano proprio gli eventi ed i banchetti»
Oggi secondo te un piccolo ristorante di qualità può essere un'impresa economicamente sostenibile, anche senza attività collaterali?
«Credo proprio di si. Sembra banale ricordarlo, ma l'importante è saper bilanciare bene entrate e uscite, avendo ben presenti quali sono i costi veri che si sostengono e che in alcuni casi non sono sempre facilmente individuabili. Se ad esempio ho solo venti coperti, è impensabile pensare di avere dieci persone per il servizio in sala, considerato soprattutto che le risorse umane rappresentano la voce di spesa più alta nella ristorazione»
Com'è iniziata l'avventura della vostra famiglia nel settore del catering e del banqueting?
«Per noi è stata una sorta di evoluzione naturale dell'attività originaria partita con mio padre Vittorio nel ristorante Da Vittorio nel centro di Bergamo e proseguita a Brusaporto. Se riesci bene in qualcosa poi è naturale avvertire la spinta a consolidare quanto raggiunto e tentare altre sfide. L'obiettivo comune a tutte le attività che abbiamo avviato è stato sempre quello di riuscire a esprimere la massima qualità. Questo è reso possibile anche grazie al fatto che siamo una famiglia e che ciascuno di noi continua ad essere appassionato del lavoro che fa e lo cura in ogni aspetto a partire ad esempio dalla selezione ed acquisto delle materie prime».
Come avviene la scelta del collaboratori da coinvolgere nelle diverse attività?
«Le competenze tecniche specifiche sono importanti ma a mio parere fondamentale è la capacità di interpretare la nostra idea di azienda e di ospitalità. Oggi complessivamente siamo più di duecento ed il denominatore comune è la predisposizione alla curiosità e la voglia di vedere, conoscere e confrontarsi sempre».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA