«Mi sono licenziata dal lavoro per fuggire da un ambiente tossico: io costretta ad andare in ufficio per la riunione, gli altri collegati da casa»

Secondo la donna, il "periodo di prova" è il momento in cui il dipendente deve giudicare il datore di lavoro e non il contrario

«Mi sono licenziata dal lavoro per fuggire da un ambiente tossico: io costretta ad andare in ufficio per la riunione, gli altri collegati da casa»
«Mi sono licenziata dal lavoro per fuggire da un ambiente tossico: io costretta ad andare in ufficio per la riunione, gli altri collegati da casa»
di Hylia Rossi
Domenica 25 Febbraio 2024, 14:30
4 Minuti di Lettura

Sembra che qualcosa si stia muovendo nel mondo del lavoro, un cambiamento che serpeggia già da tempo e che si sta concretizzando in una serie di azioni e proteste da parte dei dipendenti: si diffondono sempre più termini quali quiet quitting, vale a dire ridurre l'efficienza per spronare il capo a licenziarti, o act your wag, ovvero portare a termine un carico di lavoro realmente corrispondente allo stipendio percepito.

In effetti, al centro del dibattito rimane l'equilibrio tra vita privata e professionale, che per alcuni è garantito dalla possibilità di lavorare in smartworking anziché doversi recare tutti i giorni in ufficio, specialmente se, come nel caso di Tanya, si arriva in ufficio e si è costretti a collegarsi comunque su Zoom per una riunione con i colleghi da casa. 

Per la donna il paradosso è stato sufficiente a farle capire che non aveva nessuna intenzione di continuare a lavorare in un ambiente tossico e ha deciso di presentare le sue dimissioni. 

Tanya Diestelmann ha raccontato, in una serie di video pubblicati su TikTok, la sua situazione lavorativa e il perché abbia deciso di procedere con il licenziamento.

Nella prima clip in cui discute l'argomento, Tanya è seduta in macchina e spiega di essere stata forzata a recarsi in ufficio per partecipare a una riunione obbligatoria del reparto amministrativo. 

Il problema non è la riunione di per sé, ma il fatto che mentre tutti gli altri si siano collegati su Zoom per partecipare, senza doversi spostare da casa, Tanya è stata l'unica a doversi presentare di persona sul posto di lavoro: «Sono tutti da remoto, da altri posti. Io, invece, sono sola in ufficio». In più, la donna scrive che questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dato che l'ambiente di lavoro era già da tempo tossico. 

Per questo motivo, ha scritto una lettera di dimissioni: «Firmata, sigillata e consegnata. Domani sarà un giorno bellissimo», dice. Poi, in un video successivo spiega che era ancora in un periodo di prova, ma che c'è la concezione sbagliata per cui è il dipendente a dover essere giudicato, anziché il datore di lavoro: «È il momento per capire se ci sono dei campanelli d'allarme e se così dovesse essere allora bisogna portare rispetto per se stessi e capire che non è il nostro posto». 

Poi, aggiunge Tanya: «Se pensi che quel lavoro possa in qualche modo limitarti o per farlo devi scendere a compromessi con la tua integrità e i tuoi valori, allora non farlo». Infine, la donna sottolinea la sua consapevolezza rispetto a una triste verità: «Mi rendo conto che non tutti posso permettersi di andarsene come ho fatto io», perché molti non hanno alternative. Eppure, proprio per questo chi può lottare per condizioni migliori, dovrebbe mettersi in gioco, anche e soprattutto per chi non ha la stessa possibilità. 

Gli utenti hanno lodato la decisione di Tanya e hanno commentato con le loro storie, simili sotto tanti punti di vista: «Mi costringono a lavorare in ufficio tre giorni a settimana, ma passo tutto il giorno in chiamata», «Ho presentato le dimissioni perché il mio capo mi ha bullizzata, quando mi sono presentata il giorno dopo non ha fatto che sgridarmi. Non sono più tornata», «Devo passare due ore in macchina, due volte a settimana, solo per sedermi in un cubicolo e stare su Zoom tutto il giorno».

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