La ricetta di Boccia: «Job's act e sgravi fiscali fondamentali per il Sud»

Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia
Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia
di Nando Santonastaso
Domenica 8 Luglio 2018, 10:10 - Ultimo agg. 9 Luglio, 14:41
5 Minuti di Lettura

Presidente Boccia, tra pochi giorni Confindustria presenterà l'annuale check up sullo stato di salute del Mezzogiorno. Quale prospettiva si può delineare per questa area del Paese dopo la buona crescita del Pil 2017? La povertà resta il nemico da battere?
«La povertà resta certamente il nemico da battere. E con la povertà anche le disuguaglianze. Entrambe, disuguaglianze e povertà, vanno fronteggiate con la crescita che diventa il presupposto dell'aumento del lavoro: la vera mission Paese di Confindustria. La buona crescita del Pil anche nel Mezzogiorno è dovuta all'impatto positivo sull'economia reale di alcuni strumenti, come il Jobs Act e Industria 4.0. Per questo diciamo di fare molta attenzione quando qualcuno immagina di poterli smantellare. Ricordiamo che il solo credito d'imposta sugli investimenti ha fatto registrare al Sud prenotazioni per 4 miliardi che presto si scaricheranno sul terreno, con ulteriori effetti positivi sullo stato dell'economia e dell'occupazione. Ma un nodo nevralgico per il rilancio della questione industriale nel Mezzogiorno riguarda il destino dell'Ilva di Taranto che può e deve diventare l'avamposto di un nuovo modo di coniugare le esigenze dell'impresa con quelle dell'ambiente».

Ma secondo lei è giusto pensare di utilizzare i fondi europei per coprire i costi del cosiddetto Reddito di cittadinanza, come pensa il Movimento 5 Stelle?
«I fondi europei servono per le politiche di coesione. Per ridurre cioè i divari e costruire occasioni di lavoro, occupazione e crescita, attraverso infrastrutture e competitività per le imprese. Il che significa posti di lavoro strutturali: una vera operazione di difesa della dignità delle persone».

È realistico, come dice il ministro dell'economia Tria, che Flat tax e Reddito di cittadinanza marcino di pari passo?
«Può essere realistico se s'immagina un percorso di medio termine, avendo fissato priorità e tappe obbligate. Obiettivi ambiziosi hanno bisogno di essere sostenuti da programmi ben congegnati. Il rischio che si corre è voler fare tutto in breve tempo, facendo ricorso al deficit e questo non aiuterebbe. La domanda è: quale orizzonte temporale intende darsi questo governo? In definitiva, occorre stabilire un piano di legislatura».

 
Confindustria ha espresso tutte le sue riserve sul Decreto dignità ma il lavoro precario resta un freno all'occupazione dei giovani, soprattutto al Sud. Si può migliorare il Jobs act senza rimettere tutto in discussione?
«Come abbiamo già detto condividiamo i fini, ossia eliminare precarietà e contrastare le diseguaglianze, ma riteniamo che gli strumenti ad oggi previsti determineranno solo un elevato turn over per i contratti a tempo determinato. Nessuno si assumerà il rischio delle interpretazioni e dei contenziosi delle causali. E anche per le delocalizzazioni occorre evitare aree grigie interpretative. In tal senso il decreto è migliorabile nell'interesse di tutti e proprio per raggiungere i fini che il governo si è dato».

Sia sincero, presidente, quanto è disposto oggi a scommettere sull'Italia?
«L'Italia è un grande Paese industriale, la seconda manifattura d'Europa dopo la Germania. Se fosse capace di eliminare alcune delle sue tante criticità potrebbe aspirare a diventare il primo. Per mestiere e per vocazione non possiamo che scommettere tutto il nostro impegno sul suo futuro. Per questo invitiamo tutti i nostri interlocutori a guardare con maggiore attenzione alle nostre potenzialità, che sono tante, in una logica di collaborazione. Come quella avviata da Confindustria con Cgil, Cisl e Uil nel Patto della Fabbrica».

E sul futuro dell'Europa?
«Il futuro dell'Europa è nelle nostre mani. Sta a noi assicurarlo contribuendo a modificare le cose che non vanno. Con l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione, l'Italia può giocare un ruolo di primo piano tra le due prime potenze, Germania e Francia. Come? Assicurando la sua sponda ai progetti e ai princìpi che riterrà fondamentali per recuperare lo spirito dei padri fondatori ed eliminare le distorsioni che nel tempo hanno fatto perdere di vista la ricerca del benessere delle popolazioni».

A Verona, in occasione delle Assise, Confindustria ha lanciato il Piano per rilanciare il Paese: dovevate confrontarvi su di esso con tutte le forze politiche, siete ancora dello stesso avviso o pensate che sia a dir poco complicato con chi non sembra disposto ad ascoltarvi?
«Siamo più che mai convinti che occorra aprire una stagione di pieno e leale confronto con tutte le forze politiche. Questa Confindustria ha sempre dichiarato sforzandosi di essere esemplare e coerente - di voler essere ponte tra gli interessi delle imprese e quelli del Paese. Siamo convinti delle nostre ragioni. Vogliamo puntare a un grande progetto per il lavoro, a partire dall'inclusione dei giovani, e non vediamo per quale motivo forze politiche consapevoli e non ideologiche non debbano essere d'accordo».

Dazi, muri, sfiducia, paure: quale deve essere oggi il ruolo dell'impresa di fronte a scenari così complessi e contraddittori?
«Siamo reduci dal seminario di Symbola a Treia dove il presidente Ermete Realacci ci ha ricordato che una buona economia e una buona società devono ricordarsi di sorridere anche nei momenti più difficili. L'impresa, con la sua naturale dote di ottimismo, con la voglia e la disponibilità a superare anche gli ostacoli più difficili, può aiutare a trovare la strada di una rinascita del Paese non solo economica ma anche culturale. Per evitare di cavalcare ansietà e trasformare la rabbia in passione».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA