Tiziano Terzani: «Solo la non violenza può portare alla pace»

Nel ventennale della scomparsa pubblichiamo un’intervista inedita con lo scrittore rilasciata nel 2002, per l’uscita del saggio attualissimo «Lettere contro la guerra»

Tiziano Terzani
Tiziano Terzani
di Francesco Mannoni
Martedì 7 Maggio 2024, 07:21
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Questa intervista, inedita, a Tiziano Terzani (Firenze, 14/09/1938 – Orsigna 28/07/2004), risale alla primavera del 2002, quando venne pubblicato il suo Lettere contro la guerra (Longanesi). Eravamo a Bologna, ricordo. La scrivo oggi, nel ventennale della sua scomparsa, in coincidenza con la ristampa del saggio (Chiarelettere, pagine 192, euro 16) e del Premio Terzani, assegnato a Udine nell’ambito della manifestazione «Vicino/Lontano», in programma da oggi a domenica. Libro e intervista, in un mondo sempre in guerra, sono ancora oggi di sconcertante attualità.

Pacifista ad oltranza, convinzione maturata in trent’anni di lavoro in vari paesi dell’Asia, dalla Cambogia al Vietnam alla Cina, vivendo in contatto con gli orrori delle tante guerre che ha raccontato, Terzani tornato in Italia dall’India per ribadire il suo punto di vista sulla violenza. Nelle sue lettere da Kabul, Orsigna (Firenze), Quetta, Peshawar, da Delhi e dall’Himalaya, niente proclami, ma tante considerazioni e un invito alla pace e a capire le ragioni del terrorismo, il dramma del mondo musulmano nel suo confronto con la modernità, il ruolo dell’Islam come ideologia antiglobalizzazione, la necessità da parte dell’Occidente di evitare una guerra di religione, con un mezzo molto umano: la non violenza. 

Terzani, lei crede davvero che la non violenza sia l’unica soluzione per uscire dalla grave crisi mondiale? 
«Il problema della violenza o della non violenza è totale: è una scelta di fondo, di moralità, non ha alternative, non ha eccezioni.

Tutte le religioni, rivelate e non rivelate, hanno un comandamento che in tutte le lingue dice più o meno: non uccidere. Poi gli uomini si concedono deroghe, uccidendo chi ha un vestito diverso, una bandiera diversa. Ma ogni eccezione a quella legge ha contribuito a portarci sull’orlo del baratro, con la minaccia per sopravvivenza della nostra specie. Le armi di distruzione di massa sono tali e tante, e così facilmente accessibili da chiunque, canaglie o meno, Stati e privati, che sono in grado veramente di distruggere il pianeta». 

Ma l’uomo non controlla la scienza? 
«Non è affatto così. La scienza ormai controlla noi, e le armi che abbiamo costruito non le controlliamo più, perché le armi controllano la nostra vita».

Quindi la non violenza passa per mettere di costruire armi? 
«Tanto per cominciare potremmo fare anche questo, ma nel mio libro incito anche ad un altro tipo di lavoro, che è quello su se stessi. Le radici della violenza sono dentro di noi, nelle nostre passioni, voluttà, rapacità, nel voler dominare l’ambiente e i nostri vicini. Dobbiamo cominciare ad eliminare le radici della violenza, ma è chiaro che se eliminiamo anche le fabbriche di mine, di bombe e di aerei la cosa può essere di grande aiuto. L’Italia sta considerando di investire miliardi e miliardi di euro per essere all’altezza dell’America assieme all’Europa nel combattere le guerre del futuro. Ma siamo sicuri che non abbiamo bisogno di fare altre cose con questi soldi? Siamo europei, e possiamo ritrovare nella nostra Europa i valori veri nonostante gli americani ci abbiano posto dinanzi a un’orribile scelta: o con noi o con i terroristi. Non potremmo dire agli americani: né con voi né con i terroristi?»

Come si può neutralizzare il terrorismo? 
«Il terrorismo non si elimina e non si neutralizza uccidendo i terroristi. L’uccisione dei terroristi crea solo altri terroristi. L’eliminazione del terrorismo avviene eliminando le ragioni che portano un uomo che nasce come me e lei per vivere, e possibilmente felicemente, a fare l’atto più innaturale, più disumano e più assurdo, che è quello di uccidersi uccidendo altri».

Quali sono le ragioni del terrorismo che non riusciamo a capire? 
«Tendiamo a demonizzare i nostri nemici senza fermarci a riflettere su chi sono, cosa vogliono. Noi uccidiamo in maniera scientifica. Loro non avendo armi sofisticate, usano il terrorismo, che è la risposta all’asimmetria del nostro potere. Come dovrebbero reagire i talebani di domani ad un pilota che da quindici chilometri di distanza sgancia bombe uccidendo esseri umani in quantità industriale, tanti quanti ne hanno ucciso i terroristi abbattendo le Torri Gemelle? Reagiranno con il terrorismo, andando a piantare una bombetta chimico-biologica là da dove viene quel pilota. E domani anche da noi. Non creda che in questo momento non ci sia nel mondo musulmano un giovane che sta preparando una bomba da mettere sotto casa sua. C’è, e non li possiamo eliminare tutti. Dobbiamo eliminare le ragioni che gli fanno fare quelle bombe. Lei trova che la stupenda reazione del signor Bush dopo l’11 settembre ci abbia resi più sicuri? Nessuno lo è. In India un milione di soldati è lungo la frontiera con armi nucleari pronti a scannarsi, e in Medio Oriente siamo ad un ritmo di decine di morti al giorno. Lei vede sicurezza nel futuro?».

È per questo che lei vive per lo più sui monti dell’Himalaya? 
«Ho lavorato per trent’anni, sono stato sui fronti di tutte le guerre, ho scritto montagne di pagine e sette libri, mi volete permettere di godermi la pensione come e dove meglio mi aggrada? Sto in cima a una montagna a guardare le montagne, e quando succede qualcosa di molto brutto nel mondo, poiché mi sento un uomo responsabile come tutti voi, lascio il mio rifugio, riprendo il mio sacco e vado a dormire per terra a Kabul per tre settimane». 

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