Morto Ettore Mo, inviato e testimone: le guerre nel taccuino

Lo storico inviato del «Corriere della sera» è morto a 91 anni

Ettore Mo con l'allora presidente Ciampi
Ettore Mo con l'allora presidente Ciampi
di Gigi Di Fiore
Mercoledì 11 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 12 Ottobre, 07:16
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La sua era la generazione degli inviati di guerra che trasformava in racconti gli avvenimenti visti in prima persona. A 91 anni, è morto Ettore Mo, storico inviato del «Corriere della sera», erede della tradizione di tanti giornalisti illustri che lo avevano preceduto nel quotidiano di via Solferino da Luigi Barzini a Indro Montanelli fino a Egisto Corradi. E con Corradi, Ettore Mo aveva in comune il fisico piccolino, ma nel suo metro e 57 centimetri si concentravano intraprendenza, coraggio, conoscenza della vita, capacità professionale, cultura.

L'insofferenza per gli improvvisati, quelli che seguono gli avvenimenti senza prima documentarsi e privi di conoscenza della vita è stata la costante dei 60 anni di professione di Mo. Piemontese di Borgomanero in provincia di Novara, diplomato maestro, imparò più lingue da solo viaggiando, senza laurearsi. Aveva frequentato però la grande scuola delle esperienze di vita: barista sull'isola di Jersey, sguattero-cameriere in un ristorante di place de La Sorbonne, bibliotecario ad Amburgo, maestro di francese in un collegio di Madrid, interprete di canzoni napoletane a Stoccolma, inserviente in un ospedale londinese. Era stata la vita avventurosa di chi ha poi raccontato tanti orrori e ha conosciuto e intervistato decine di personaggi che hanno fatto la storia del secolo scorso. Il giornalismo arriva quando inizia a scrivere i racconti dei suoi viaggi per il mondo come cameriere di prima classe sul transatlantico Orsova. Li spediva a Piero Ottone, direttore del «Corriere della sera» che alla fine lo incoraggiò. E lo fece assumere. Fece la gavetta a passare pezzi di altri, selezionare notizie di agenzia, con l'umiliazione mai dimenticata ricordata all'amico Gian Antonio Stella: «Chiesi, timidissimo, al direttore Giovanni Spadolini se, conoscendo più lingue, potevo essere utile per qualche didascalia agli esteri.

La risposta mi gelò: Mo, su, un po' di umiltà». Incassò. Poi la brillante carriera da inviato di guerra. Su questo impegno, ha sempre avuto le idee chiare: «La vita non è un teatro da drammatizzare a fantasia. Il mio lavoro è vedere la gente, trovarmi sugli avvenimenti da raccontare».

Uno della «sporca ventina» lo ha definito l'inviato della «Stampa», Mimmo Càndito, che nell'elenco includeva anche Vittorio Dell'Uva e Marco Guidi. Venti inviati di guerra di una generazione che ha condiviso scenari e guerre degli ultimi 50 anni. Ettore Mo ha raccontato gli orrori del Libano, le guerre in Afghanistan, in Iran, Africa, America latina, in Cecenia, nella ex Jugoslavia, nel Golfo. «Era un inviato da tutti i fronti di guerra, uno dei migliori» ha scritto di lui ancora Càndito che ha raccontato quando proprio Mo, nella guerra del Golfo, cercò di convincere una guida a portarli a Bassora, dove si combatteva: «Ettore, che aveva un buon allenamento, si scolò con la guida una montagna di birre e alcuni bicchieri di whisky. Ma anche la guida era una buona tempra e l'incontro finì alla pari, ma la guida si impegnò a portarci a Basrah».

Nella casa che guardava il lago Maggiore, dove ha vissuto gli ultimi anni con la moglie Christine conservava una grossa foto di Ahman Shah Massud, il «leone del Panshir», che aveva intervistato conservandone sempre ammirazione. In Afghanistan i russi misero una taglia sulla testa di Mo che anche in Iran, nel 1979, era in una black list dei rivoluzionari. Gli è rimasto sempre legato Valerio Pellizzari del «Messaggero». La vita l'ha rischiata spesso e una volta, ha raccontato la moglie, accovacciato sotto le bombe a Jalalabad, le scrisse un accorato messaggio d'addio. Sopravvissuto, lo distrusse. Non ha mai sopportato il mestiere trasformato in spettacolo e invenzioni. Quando al «Corriere della sera» partirono i corsi per l'uso dei pc, rinunciò come Montanelli. La sua era la generazione delle Olivetti, dei pezzi dettati di corsa o a braccio, dei telefonini e Internet inesistenti. Esperienze riportate nei suoi 15 libri, riconosciute dai numerosi premi ricevuti nella sua carriera. Con Ettore Mo, si chiude davvero un'era del giornalismo. 

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