«Il rianimatore» di Antonella Presutti: la natura incontra Caracas

I protagonisti alla riscoperta delle proprie radici e alla conoscenza di se stessi

La copertina del libro
La copertina del libro
di Alessandra Farro
Mercoledì 13 Settembre 2023, 19:20 - Ultimo agg. 19:24
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Tante storie si intrecciano tra le vie di Petare, un piccolo sobborgo di Caracas, in cui l’umanità sembra ormai lontana. “Il rianimatore” della molisana Antonella Presutti, edito da Arkadia Editore, porta i protagonisti alla riscoperta delle proprie radici e alla conoscenza di se stessi e della società che li circonda attraverso l’incontro con la natura in tutte le sue forme. Un romanzo sofferente e delicato, intenso ma estremamente scorrevole, tremendamente realistico.

Perché sceglie Caracas come luogo in cui ambientare la storia?
«Non sono mai stata in Venezuela, ma in Molise moltissime persone sono emigrate verso il Sud America.

La mia idea mette le radici lì, in quel posto in cui molti miei compaesani hanno riposto le proprie speranze, pensando che la ricchezza della terra avrebbe portato loro fortuna. In realtà, c’è stato un episodio nello specifico che ha alimentato la mia fantasia. Sono un’appassionata di piante e devo necessariamente salvare tutto quello che è abbandonato o dimenticato, che sopravvive malgrado il resto. Ho visto un bar abbandonato non lontano da casa, che ospitava moltissime piante, che stavano morendo. Sulla porta il cartello “Vendesi”. Così ho fissato un appuntamento per visitare il locale, fingendomi un’acquirente. Arrivata sul luogo insieme alla proprietaria, le ho confessato che volevo soltanto salvare le piante, non ero interessata a comprare il bar. La cosa che mi ha sorpresa è che la donna non si è scomposta minimamente, come se la mia richiesta fosse totalmente comprensibile, e mi ha lasciato recuperare tutti i vasi ancora in vita».

La prima parte del libro è ispirata a una storia vera?
«L’operazione di salvataggio delle piante raccontata è precisamente quella che ho vissuto. La signora molisana del bar mi ha raccontato la sua storia, mentre recuperavo i vasi. Si era trasferita più di 10 anni fa a Caracas con la sua famiglia – i genitori e il fratello – e mentre erano lì, tutti hanno cominciato a vivere una dissociazione fisica e mentale rispetto al luogo in cui vivevano. Si ritrovavano a guardare il cielo e a chiedersi com’era il tempo in Molise in quel momento, che cosa si stavano perdendo. Così, a un certo punto, hanno capito che l’unica soluzione era tornare indietro. Qui comincia il mio viaggio mentale tra l'Italia e il Venezuela, uno dei luoghi più infelici e martoriati del nostro pianeta. Sono sempre stata colpita dalle storie dei molisani che si trasferivano lì e poi tornavano qui, i loro racconti hanno trovato una nuova casa tra le pagine del mio libro».

Nel romanzo è la natura a rianimare i protagonisti.
«L’idea delle piante che mi hanno portato a conoscere la storia di questa signora si è allargata a macchia d’olio. Pensavo a queste anime ferite, violate, violentate e violente, diventate protagoniste di questo libro infernale, che trovano un modo per riscattarsi attraverso il mondo vegetale. È la natura a insegnare loro quello che gli uomini non hanno mai insegnato: la cura, l’amore, il linguaggio, la condivisione. Questa possibilità di riscatto credo esista per ognuno di noi, da qualche parte: che venga dal mondo vegetale, da quello animale o dall’essere umano è uguale. In termini reali, temo che noi umani stiamo perdendo la compassione intesa come condivisione della sofferenza. Il mondo vegetale, per me, apre uno spazio di luce in questa oscurità di pensiero. C’è sempre una possibilità di costruire strade di bellezza, ma dovremmo rivedere il nostro rapporto con la natura: dovrebbe essere orizzontale, non verticale. Dovremmo smetterla di voler dominare il mondo, ma convivere con esso».

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