Donatella Di Pietrantonio, L'età fragile «tra madri, figli e rimorsi»

«Un'influenza del modello educativo c'è, ma questo non ci rende necessariamente colpevoli»

Donatella Di Pietrantonio
Donatella Di Pietrantonio
di Francesco Mannoni
Lunedì 27 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 28 Novembre, 10:23
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Al suo nuovo romanzo, L'età fragile (Einaudi, pagine 192, euro 18, ebook 9,99 ), in uscita domani, Donatella Di Pietrantonio ha dato la tensione di un thriller che si muove tra l'Abruzzo, terra della scrittrice Premio Campiello nel 2017 per L'Arminuta, fintamente accogliente con la sua natura, e una Milano miraggio di libertà non mantenuta. L'età fragile del titolo è quella di Lucia, che una notte di trent'anni fa si è salvata per un caso, è quella di sua figlia Amanda, che è tornata a casa tormentata, irriconoscibile, appena un attimo che l'Italia chiuda per pandemia. È quella in cui vengono a galla ricordi che sono rimorsi, rimorsi che sono ricordi implacabili. Che dicono di violenze, patriarcali e non. Di conti da fare, di omicidi che non risolvono niente, anzi. Quella notte al Dente del Lupo c'erano tutti. I pastori dell'Appennino, i proprietari del campeggio, la forestale, la polizia. Tutti, tranne tre ragazze che non c'erano più.

Non diciamo di più della trama, che pure racconta di un doppio femminicidio a metà anni Novanta, ma proviano almeno a spiegate il titolo.
«Non saprei dire qual è l'età fragile per eccellenza o quella più difficile, ogni fase della vita è esposta all'inciampo, alla caduta, all'insofferenza.

Amiamo e sbagliamo a tutte le età. A volte le nostre difese, le nostre capacità di reagire di fronte a quello che la vita ci presenta, sono più basse, e l'errore è più clamoroso, doloroso, fatale».

Lucia, voce narrante, è una fisioterapista che ha conquistato la sua autonomia, ma si sente sconfitta come moglie e come madre: è separata dal marito e la figlia Amanda abbandonati gli studi è tornata a casa cambiata e poco disponibile al confronto e alle spiegazioni. La situazione riporta Lucia alla giovinezza, al rapporto con i genitori, soprattutto col padre rude e autoritario, all'amica Doralice e alle due ragazze modenesi scomparse sui monti con lei trent'anni prima durante una gita alla quale anche lei doveva partecipare: dovevano essere in quattro, e invece... Da allora si considera una sopravvissuta: i ricordi la spingono a tentare di far luce su fatti oscuri, a chiedersi perché si uccide, quali offese o torti subiti si vuole vendicare. Le violenze che racconta nel romanzo, sono accadute realmente?
«Mi sono ispirata ad un episodio di cronaca accaduto molti anni fa in Abruzzo, per mostrare quanto certe violenze, soprattutto quelle che accadono in una comunità piccola, isolata, chiusa, vadano a creare una sorta di rancore collettivo che arma il mucchio selvaggio dei delusi, degli scontenti. Sono nata, cresciuta e vivo in Abruzzo, terra in cui resiste una comunità avvitata su se stessa, viviamo isolati, lontani da tutto, ci mancano tante cose, ma siamo convinti di essere buoni, solidali, uniti, di avere la natura, l'aria buona, il cibo genuino, pensiamo non possa accadere nulla di male».

Invece?
«Anche la vita vissuta in un luogo protetto e protettivo spesso ha degli scossoni, non esistono isole franche. E quando accade l'impensabile, la difesa è la rimozione perché ci si vergogna. E se la rimozione collettiva è un nodo mai sciolto, come accade nel romanzo, a distanza di molto tempo, si può sentire l'esigenza di riportare a galla quel rimorso, e finalmente elaborarlo, dargli un senso, un nome».

Per questo Lucia è oppressa dai sensi di colpa?
«Quando qualcosa non funziona è naturale che una madre o un padre si interroghino su ciò che hanno dato e sulle fragilità dei figli e quanto esse siano colpa loro, carenze nell'educazione. Ma anche questa è una generalizzazione: non è detto che tutti i genitori abbiamo un atteggiamento di autocritica».

Facciamola semplice: i fallimenti dei figli, sono un'eco del fallimento dei genitori?
«Non so se i figli sono sempre dipendenti dall'educazione che hanno ricevuto. Certo, un'influenza del modello educativo c'è, ma questo non ci rende necessariamente colpevoli quando i figli si comportano come Amanda. Ma, comunque sia, una madre delle domande se le pone. Sappiamo quanto è importante ciò che diamo ai figli nelle prime fasi di vita, perciò mi sembra giusto interrogarsi su quale possa essere la nostra responsabilità nelle loro crisi e fallimenti. Senza per questo crocifiggerci, cristallizzarci nel senso di incompetenza, perché è grande anche l'influenza dell'ambiente esterno che da genitori non possiamo controllare e perciò non possiamo attribuirci la colpa di tutto».

Perché perdiamo la sintonia con i figli che abbiamo quando sono bambini?
«Quello che mi sento di dire come madre e scrittrice è che spesso restiamo legati al rapporto instaurato con i figli nei primi anni di vita, quando più netto è il loro dipendere da noi. Una sintonia sbilanciata che si perde man mano che i figli crescono, ovvero sono esposti al mondo esterno. Facciamo fatica a renderci conto di questo cambiamento e ci illudiamo di conservare quel rapporto, ma i figli diventano altro. Lucia lo capisce strada facendo». 

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