Carmen Pellegrino dà luce alle ombre di tre vite

Da Napoli a Postiglione, da Roma a Gessopalena, il racconto della fragilità della memoria

Carmen Pellegrino
Carmen Pellegrino
di Ugo Cundari
Domenica 25 Febbraio 2024, 08:00 - Ultimo agg. 18:41
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Ci sono un sopra e un sotto, o se vogliamo usare concetti più elevati c'è una verità letteraria essoterica e una esoterica, in Dove la luce (La nave di Teseo, pagine 212, euro 19) di Carmen Pellegrino, in libreria da dopodomani.

In un tempo compreso tra gli anni Ottanta e il 2023, in uno spazio in cui insieme a Napoli compaiono Roma, Postiglione nel Salernitano e Gessopalena in provincia di Chieti, sono raccontate storie con protagonisti l'autrice, un personaggio di fantasia e un uomo realmente esistito come l'economista Federico Caffè, misteriosamente scomparso nel 1987 e già al centro del romanzo di Ermanno Rea L'ultima lezione (1992). 

Pellegrino scrive della sua infanzia, degli antenati contadini e illetterati, del difficile rapporto con il padre.

Tratteggia la tentazione della morte del personaggio fittizio, povero Cristo. Rintraccia le orme lasciate sulla terra da Caffè, tenta di spiegarne la scomparsa. Immagina che i due si siano incontrati e che il professore abbia cercato di salvare il disperato, come voleva impedire, con le sue elaborate teorie economiche, alla povera gente di morire di fame assicurando a tutti un lavoro. Pellegrino cita lettere di Caffè in cui lui si riconosce piccolo uomo fragile dal destino oscuro: «Qualche volta io, persino io, un catorcio d'uomo economico che va a letto con un bicchiere di latte tiepido e una fetta di pane perché il suo stomaco non può più digerire altro, persino io, dicevo, qualche volta mi inoltro nella notte più fitta».

Nella sua intimità Caffè è un uomo in cerca dell'amore eterno sinonimo di libertà, sempre disposto a provare stupore di fronte alla bellezza della natura e disponibile con i suoi studenti. Insegnava alla Sapienza di Roma con ruoli di prestigio ma, se c'era bisogno, riparava gli impianti elettrici e idrici, «se per qualche ragione una delle bibliotecarie era indisponibile, prendeva un mucchio di carte da leggere e si sedeva al suo posto fuori dalla sala di lettura. Se poi i cardini degli avvolgibili cigolavano, usava per lubrificarli l'olio delle sardine che ogni tanto si portava per il pasto».

Con uno stile dal diabolico equilibrio tra prosa secca e scarna e costruzione poetica, Pellegrino racconta la fragilità della memoria, la difficoltà di essere figlia, le promesse di benessere degli anni Ottanta, la follia della guerra in Ucraina. Questa è la superficie visibile del libro. Poi c'è quella nascosta, dedicata a interrogarsi sul senso della scrittura e sul valore della parola, e qui il discorso si fa più complesso.

L'autrice imbastisce un ragionamento di natura buddhista intorno alla superiorità della decreazione sulla creazione, della morte, intesa come metamorfosi, sulla fissità della vita. Cita la poetessa Anne Carson e la filosofa Simone Weil. Conclusione: chi scrive mette su pagina il proprio io ma farebbe bene a esaltare la vacuità di questo io, facendone discendere un'opera artistica in cui i confini tra i generi si annullano, come dovrebbero annullarsi quelli tra l'io e il mondo circostante. Ed è ciò che fa Pellegrino con questo romanzo non romanzo. È saggio e narrativa, è memoir e biografia altrui, è fiction e non fiction, è un genere letterario che non ha genere. È opera unica. È voce sola. La scomparsa di Federico Caffè è la scomparsa dell'io di Pellegrino, un io che fugge per salvarsi, perdersi nell'armonia del mondo e diventare, come auspicava il grande poeta americano Whitman, moltitudini. La letteratura autentica nega sé stessa. L'autrice lo scopre, come una illuminazione, un «lunedì di settembre, intorno alle cinque del pomeriggio, quando faceva ancora caldo a Napoli e io indossavo una giacca pesante». Sente la pressione di un bacio sulla nuca e capisce che sì, esiste la parola «che non sia vinta, una parola che trovi, ancora, il modo per dire quanto non può dire». Pellegrino si conferma una delle più sorprendenti scrittrici della letteratura italiana. 

Presentazione mercoledì 38 febbraio alle 18.30 nella libreria Ubik di via Croce. Con l'autrice, il direttore de «Il Mattino» Francesco de Core e Andrea Di Consoli. 

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