Antonella Ossorio e I bambini del Maestrale, quella nave asilo per i Caracciolini

La storia di Giulia Civita Franceschi e della nave-asilo Caracciolo

Antonella Ossorio
Antonella Ossorio
di Donatella Trotta
Giovedì 22 Giugno 2023, 11:00
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Una «Maria Montessori made in Naples», che ha saputo trovare per i bambini napoletani di strada dell'epoca giolittiana una efficace «cura dell'acqua salata» riscattandoli dall'abbandono con un futuro dignitoso. Un'attivista visionaria, che ha incarnato una versione laica e femminile antesignana di Don Vesuvio (Mario Borrelli, il prete degli scugnizzi del secondo dopoguerra narrati da Morris West in Figli del sole). Una «Capitana» sui generis, direttrice di una scuola a tempo pieno su una piro-corvetta in disuso, che realizzò uno dei più originali esperimenti educativi e di comunità del suo tempo, apprezzato da pedagogisti di tutto il mondo.

La storia di Giulia Civita Franceschi e della nave-asilo Caracciolo da lei diretta, ormeggiata al Molosiglio dove Giulia viveva con i suoi «Caracciolini» (oltre 750) accolti e istruiti con dolce inflessibilità, è di quelle che lasciano il segno. A restituirla al grande pubblico è ora il talento narrativo di Antonella Ossorio, con il romanzo I bambini del Maestrale (Neri Pozza, pagine 384, euro 19), costellato sin dal titolo di metafore marinare che scandiscono, sin dall'incipit (Approdo) di forte impatto emotivo, una vicenda vera.

L'autrice la ricostruisce adattando a una avvincente trama diacronica intessuta con rispetto e credibilità, anche dei personaggi di invenzione i fatti emersi dalle ricerche di studiosi come Maria Antonietta Selvaggio: coadiuvata, tra gli altri, da Antonio Mussari, direttore della Fondazione Thetys-Museo del mare che conserva molte fonti. Con I bambini del Maestrale Ossorio si immerge nei 15 anni di esperienza (dal 1913 al 1928) di una donna del 1870 battagliera fino alla morte, nel 1957. Ne rivive i conflitti interiori e la fitta trama di relazioni. E porta a compimento la propria coerente poetica di attenzione a storie annidate (spesso nascoste) nella Storia, capace di fondere affreschi realistici e fantasia in narrazioni che catturano per la finezza stilistica con echi di Hugo, Dickens, Serao di una scrittura screziata di registri diversi, con una vivida coralità che dona vigore a personaggi, dialoghi e descrizioni legate soprattutto a quel «popolo» invisibile che è l'infanzia: presente in precedenti romanzi come La mammana (Einaudi 2014) e La cura dell'acqua salata (Neri Pozza 2018). Ma qui è l'esperimento formativo e umano del «sistema Civita», volto a rispettare e valorizzare ogni bambino nei suoi bisogni e inclinazioni e realizzato in un passato recente, in una città ancora oggi ferita dalla povertà educativa, a interpellare i lettori. Perché Felice, piccolo naufrago nelle tempeste della deprivazione, don Viggiano e la sua dedizione, i Caracciolini, le maestre e il maestro della squadra dell'indomita Giulia affrontano a schiena dritta sfide formative, nodi della vita, venti di guerra, violente ostilità e crescenti soprusi anti-democratici e totalitari del fascismo. Che volle appropriarsi di questo gioiello inserendolo nell'Opera Nazionale Balilla. Per annientarne le peculiarità maieutiche. Ma non la memoria. 

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