In sala dopo il film: «Sono io la bimba casertana salvata dall'olocausto»

In sala dopo il film: «Sono io la bimba casertana salvata dall'olocausto»
di Rossella Grasso
Domenica 20 Maggio 2018, 14:59 - Ultimo agg. 17:20
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«La bambina ebrea nata a Tora sarei io». Così Annie Sacerdoti, 75 anni, milanese di adozione, ha commosso la sala del Cinema Spazio Oberdan di Milano dopo la proiezione di «Terra Bruciata», il docufilm di Luca Gianfrancesco, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, sugli episodi semisconosciuti della Resistenza in Campania. Di lei nessuno sapeva più nulla, se fosse riuscita a sopravvivere o meno alla ferocia nazista di quegli anni.

Più di 70 anni dopo Annie ha raccontato la sua storia e fatto un’altra rivelazione: «Ad essere sincera i bambini nati a Tora sarebbero due e l’altro è qui di fianco a me. Si chiama Franco Voghera».
 

Scrosci di applausi hanno travolto i due nella commozione generale. La loro vita è salva grazie al coraggio degli abitanti di Tora, piccolo borgo nel casertano, che nascosero gli ebrei dai rastrellamenti tedeschi. I loro genitori si erano rifugiati lì dopo la promulgazione delle leggi razziali. Gianfrancesco nel film ricostruisce i fatti attraverso i racconti di studiosi e testimoni, tra cui Giulio De Simone. Ormai è anziano ma i suoi ricordi sono vividi. Racconta che i paesi non avevano più uomini per lavorare la terra perché erano tutti partiti per il fronte.
Così il podestà di Tora fece richiesta di avere persone per i lavori forzati. Gli fu spedito un gruppo di giovani ebrei napoletani. Quello che trovarono lì non fu affatto lavoro coatto, ma amicizia e ospitalità, tanto che presto si fecero raggiungere dalle famiglie, diventando una cinquantina. «In paese comparvero i manifesti che minacciavano pesanti provvedimenti contro chi fosse entrato in contatto con gli ebrei – ricorda De Simone - ma nessuno se ne curò».
La baronessa Antonietta Falco aprì le porte della sua villa che divenne in quegli anni una Sinagoga, mentre il parroco don Ferdinando Di Corpo spiegava ai suoi fedeli perché quelle persone non frequentassero la chiesa. In un clima di conoscenza e accettazione reciproca, vissero anni che i superstiti ebrei hanno definito «di grande spensieratezza», nonostante tutta l’Europa fosse afflitta dall’Olocausto. La situazione peggiorò quando nel ’43 i tedeschi cominciarono a rastrellare l’Italia cercando uomini da mandare a combattere o ai lavori forzati, tra italiani ed ebrei.


La comunità di Tora si ribellò con il silenzio e nascose gli ebrei nelle proprie case. De Simone racconta che nessuno degli abitanti di Tora pensò mai di barattare la propria salvezza denunciando la loro presenza in paese. Molti preferirono lasciarsi deportare in Germania o morire. Persino la polizia locale fece sparire gli elenchi, per cancellare ogni traccia della loro presenza e proteggerli dalla deportazione.

Ziva Modiano Fischer, allora una dei bambini di quel gruppo di rifugiati, nell’intervista registrata da Gianfrancesco ricorda che Tora è, probabilmente, l’unico luogo in Europa in cui gli ebrei sono arrivati in un certo numero e, quando sono andati via, sono aumentati di un’unità. «Tre giorni prima che la Brigata Palestinese ci riportasse a Napoli, nel villaggio nacque una bambina», dice la signora nel film. Ma non sapeva che in realtà i bambini erano due, Annie Sacerdoti e Franco Voghera che all’Oberdan di Milano, due giorni fa, hanno raccontato la loro storia. Era il novembre del 1943 quando i due poterono tornare a casa con le loro famiglie. Avevano solo pochi giorni e da allora nessuno ne aveva più saputo nulla. Settantacinque anni dopo possono portare avanti la memoria del gesto eroico di Tora. «Mi sono commosso quando ho visto Annie nel cinema – ha detto Gianfrancesco – conoscevo il suo nome ma durante le mie ricerche non ero riuscito a trovarla. Poi Franco mi ha mostrato le lettere di suo padre, aprendo un altro capitolo di una storia fin ora sconosciuta».
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