Inferno Stir: ma per la sicurezza
c’è solo una guardia giurata

Inferno Stir: ma per la sicurezza c’è solo una guardia giurata
di ​Mary Liguori
Venerdì 25 Ottobre 2019, 07:00
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Autocombustione. È una parola che sembra svuotare di responsabilità le cause di un incendio, ma in realtà le fa aumentare e le colloca a livelli più alti di quella che potrebbe essere la semplice e manuale colpa di un piromane. È questo il termine che porterà, quasi certamente, all’archiviazione delle indagini per l’incendio di un anno fa allo Stir di Santa Maria Capua Vetere. 

È questa, oggi, la parola che aleggia sulle indagini per il rogo che giovedì scorso ha distrutto 150 tonnellate di rifiuti nello stesso sito della Provincia di Caserta. Autocombustione, dunque, magari per la presenza di frazioni umide di cui la gente si libera, gettandola nel sacco dell’indifferienzato, quando i Comuni sospendono la raccolta dell’organico. Roba che fermenta e che, a contatto con l’indifferenziata, per ore, giorni, settimane, rischia di generare la miccia. Complice anche l’alta temperatura. Insomma, una settimana fa, come un anno fa, potrebbe non essere necessario dover cercare un piromane. Potrebbe esserci una matrice accidentale per il disastro allo Stir. Potrebbe però esserci anche una responsabilità indiretta. Una responsabilità istituzionale. La scelleratezza di chi non pratica correttamente la differenziazione domestica, certo, ma anche la gestione stessa dello Stir. Da Roma si era promesso di inviare a Santa Maria e negli altri siti di stoccaggio rifiuti, i militari dell’Esercito e l’articolo 26-bis del decreto sicurezza indica in dettaglio le regole da rispettare per la gestione degli impianti di smaltimento rifiuti. Regole chiare, dunque, eppure gli Stir sono andati, di nuovo a fuoco. Non c’è l’Esercito, né ci sono i droni annunciati nel Consiglio dei ministri che si è tenuto a Caserta l’anno scorso. E forse non ci sono, sugli impianti, neanche le minime regole di sicurezza. Dopo la devastante stagione del fuoco che, tra l’estate e l’autunno del 2018, colpì non solo lo Stir casertano, ma anche quello di Casalduni e i roghi iniziarono a bruciare anche impianti «autorizzati» anziché le sole discariche abusive, sembrò esserci una strategia, una regia comune, un movente forte. Ipotesi che si rafforzò quando bruciò la Lea di Marcianise, azienda accusata di avere stoccato di tutto, e seppellito di tutto, nell’area, poi sigillata, e in un suolo di proprietà del Consorzio di Bacino che, ironia della sorte, si trova proprio accanto allo Stir di Santa Maria. Quante coincidenze. È difficile credere al caso, eppure la teoria del fuoco a comando non gioverebbe ad altri che agli autotrasportatori: se chiude lo Stir, aumentano i guadagni perché la spazzatura va portata altrove, più lontano, con aumenti di incassi, per le ditte, e di spesa, per gli enti pubblici. Ma se dietro il rogo di giovedì non c’è la mano dell’uomo, vien da chiedersi come è stato possibile che un sito considerato ad altro rischio proprio per i materiali stoccati, sia andato a fuoco e nessuno abbia dato l’allarme e, oltretutto, non ci siano immagini utili agli investigatori. La sicurezza dello Stir è affidata a una guardia giurata. Altro che Esercito. E le telecamere inquadrano solo il perimetro del sito. E l’impianto anti-incendio? Verifiche in corso per capire se funziona. Indagini che se, di nuovo, smentiranno l’ipotesi di un piromane, rafforzeranno quella delle responsabilità istituzionali. Per un incidente che si sarebbe potuto evitare, chissà. Per ora sono cadute le teste dei responsabili locali dello Stir: la Gisec li ha rimossi il giorno dopo la visita del ministro Costa, ma non sono coinvolti nelle indagini. E poi, come detto, il fenomeno va inquadrato nella sua complessità perché il rogo dello Stir non è un caso isolato. Da agosto sono andate a fuoco le ecoballe, l’isola ecologica e un deposito dei camion di Villa Literno e, di nuovo, lo Stir di Casalduni (come accadde già nel 2018). Fiamme e fuoco a ripetizione. Ma la colpa di chi è? Di tutti o di nessuno. Dipende dai punti di vista. Il sindaco di Santa Maria Capua Vetere, Antonio Mirra, intende ottenere la verità. «Ci siamo opposti all’archiviazione per il rogo del novembre 2018: i responsabili vanno individuati. E al ministro Costa, l’altro giorno, dopo il nuovo incendio, ho fatto presente le necessità di tutelare il territorio. Il rogo di sette giorni fa evidenzia, di nuovo, la vulnerabilità del sito: il piano sicurezza è fallito». «La Gisec? Non entro nel merito del cambio vertici, - tira contro il sindaco - ma se la teoria dell’autocombustione fosse confermata, ci dovranno chiarire in che modo stoccano la spazzatura nello Stir».
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