Governo: dizionario della crisi
Seconda Parte

Non sfiducia: la presentazione del terzo governo Andreotti con il presidente della Repubblica Giovanni Leone, luglio 1976
Non sfiducia: la presentazione del terzo governo Andreotti con il presidente della Repubblica Giovanni Leone, luglio 1976
Venerdì 6 Aprile 2018, 08:00 - Ultimo agg. 13:18
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Il prezzo pagato dalla brava gente
che non si interessa di politica
è di essere governata
da persone peggiori di loro
(Platone, filosofo greco antico)




Il confine del governo tecnico è sottile rispetto al governo del presidente, che evidentemente si caratterizza perché l’indicazione non arriva direttamente dai partiti ma viene sponsorizzata dal Quirinale unitamente a due coordinate: la durata dell’esecutivo (necessariamente breve) e la focalizzazione degli obiettivi (limitati). C’è anche chi lo definisce governissimo, governo amico, o – meglio – governo istituzionale se la guida è affidata ad uno dei presidenti delle due Camere, al vertice della Corte Costituzionale o appunto di Bankitalia. Come governo del presidente (ma i notisti politici hanno parlato anche di governo d’affari o governo amministrativo) viene annoverato quello di Giuseppe Pella (1953) chiamato a Palazzo Chigi dopo che la legge truffa (ne parleremo meglio un’altra volta), non avendo visto scattare il discusso premio di maggioranza, consegnò alle urne un Parlamento senza maggioranza. Durò cinque mesi. Non molto diverse le vicende di Adone Zoli (1957). 

Non è finita: durata breve e obiettivi limitati, ma a guida politica, sono anche le caratteristiche del governo di scopo. Il dizionario Treccani ricorda l’utilizzo di questo termine da parte di Eugenio Scalfari, quando a fine 2007, al tramonto del secondo governo di Romano Prodi, auspicava un ampliamento della maggioranza finalizzato a portare avanti la legislatura fino a quando le riforme istituzionali ed elettorali fossero state realizzate e la Finanziaria fosse stata approvata con i suoi collegati. Treccani in questo caso parla anche di governo funzionale e governo di missione, termine che ricalca l’espressione francese government de mission usata da Jacques Chirac nella prima dichiarazione ufficiale dopo la riconferma alla presidente della Repubblica d’oltralpe (maggio ’92): «Nei prossimi giorni metterò in movimento un governo di missione, che avrà come unico compito quello di rispondere alle vostre preoccupazioni». In Italia se ne parlò nel gennaio 2008, come possibile sbocco della crisi innescata dalla bocciatura al Senato del governo Prodi. 

Di breve durata è anche il governo balneare, destinato ad approvare provvedimenti urgenti per poi tramontare alla fine della stagione estiva. Si è detto anche di governo ponte e governicchio. Fino al governo elettorale, dall’unico obiettivo di traghettare il Paese a nuove elezioni.

Ancora: ci sono poi i governi di minoranza (sulla cosiddetta anatra zoppa mi fermerò un’altra volta). Alla vigilia del voto per le Politiche 2018, non senza suscitare polemiche, il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker aveva paventato la prospettiva per Roma di un governo non operativo, coniando un neologismo che però trova un riscontro nella storia repubblicana. Il precedente è il governo di non sfiducia, ovvero quello di una maggioranza senza maggioranza, i cui voti contrari però non raggiungono la bocciatura della fiducia: è il caso del terzo governo guidato da Giulio Andreotti (1976) che riuscì a superare l’esame dell’Aula grazie all’astensione dei parlamentari del Pci. Fu detto anche governo di solidarietà nazionale.

Ultima avvertenza al neofita: alcuni politici amano parlare in maniera sprezzante di governi non eletti, lasciando dunque a intendere che nella storia italiana ci siano stati esecutivi scelti dagli elettori. Non è così. È una mistificazione bella e buona. E qui torniamo a fare un passo indietro. L’articolo 92 della Costituzione è chiaro. È il presidente della Repubblica a nominare il presidente del Consiglio. I cittadini? I cittadini eleggono i parlamentari, non i governi.
​(fine)
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