Hanno una produzione molto veloce, sono supercompetitive nei processi biotech, battono, per fatturato in Europa, sia la Germania che la Francia.
Ma, sono poco conosciute. Eppure, dai loro stabilimenti, escono migliaia di “salvavita”. Sono le aziende che producono farmaci conto terzi. Quelle che, su indicazione dei laboratori creatori, trasformano la ricerca in medicinali. Dalla pasticca agli iniettabili tradizionali, ai vaccini e alle formulazioni biotecnologiche. Ma anche dispositivi medici e cosmetici liquidi come soluzioni, sospensioni e microemulsioni, in gel e liofilizzati. Si tratta di imprese che effettuano produzioni e controlli di farmaci esternalizzati da aziende titolari dell’autorizzazione all’immissione in commercio. Rientrano sotto la sigla Cdmo (Contract Development and Manufacturing), in Italia appartengono al Gruppo Cdmo Farmindustria. Il nostro Paese si conferma primo in Europa con un fatturato di 3,1 miliardi annuo (è di 15 quello europeo) seguito da Germania con 2,7 miliardi e Francia con 2,2. Come rivela l’ultima indagine Farmindustria-Prometeia 2023. Nel complesso, l’incremento del fatturato nel biennio 2022-23 è stato superiore al 34%, con un picco del 44% per le produzioni di farmaci biologici e ad alta tecnologia. La porzione diretta alle multinazionali estere supera l’80% e la quasi totalità dell’export è diretta verso l’Unione europea, gli Stati Uniti e il Giappone.
LA CRESCITA
Dal 2012 al 2021 l’Italia ha segnato un +82,6% di fatturato in questo settore. La media è di un aumento del 9% l’anno, con una vivacità della produzione dei biologici e degli iniettabili: un prodotto per conto terzi su quattro, infatti, è biotech. Alla nostra produzione si deve il 28% della crescita in Europa. Siamo considerati, si legge nell’indagine “importanti partner strategici grazie alla capacità competitiva, all’elevata produttività e alla forte flessibilità, rafforzata da una costante propensione all’investimento e all’innovazione”. Una nicchia industriale, dunque, ad alta specializzazione, che in poco tempo, dai primi passi negli anni ‘90, si è fatta largo nel mercato globale.
L’OCCUPAZIONE
«Il nostro settore – spiega Anna Maria Braca, presidente del gruppo Cdmo-specialisti della manifattura farmaceutica di Farmindustria durante la presentazione dell’indagine – conta circa venti società a capitale italiano ed estero. Abbiamo bisogno crescente di personale. Per questo, le aziende Cdmo hanno avviato collaborazioni con vari grandi atenei universitari per discipline come Chimica, Ingegneria, Tecnologie farmaceutiche e Informatica». La richiesta sembra essere tale che gli studenti, ancora prima di arrivare alla laurea, vengono già contattati dalle aziende per iniziare un percorso di formazione. «È richiesta un’alta specializzazione e i tempi sono fondamentali per avere un autentico vantaggio competitivo», aggiunge la presidente. La prova è che negli ultimi anni alcune aziende estere hanno dovuto interrompere la produzione per mancanza di personale. «Noi, invece – ricorda Anna Maria Braca – non ci siamo mai fermati». Perché, nel biennio 2022-2023, hanno destinato il 53% degli investimenti in nuove linee produttive. In grado, secondo la presidente, di «catturare il cambiamento in atto dell’industria, posizionandosi nella ricerca farmaceutica d’avanguardia». Una sorta di rivoluzione silenziosa che ha permesso a questo settore di cambiare, in parte, il suo ruolo. Non più solo produttori conto terzi ma veri e propri partner, secondo gli analisti, della trasformazione e innovazione terapeutica. La propensione a investire, rileva l’indagine, “si mantiene nettamente più elevata della media manifatturiera”.
LA SPECIALIZZAZIONE
«Le parole chiave in questo settore sono “specializzazione” e “velocità” – commenta il presidente di Farmindustria Marcello Cattani – Questo per adattare le produzioni conto terzi in modo sempre più vicino all’evoluzione della domanda del mercato globale. La domanda di farmaci è esplosa negli ultimi anni, ma si tratta di una domanda orientata verso farmaci sempre più tecnologici. Non chiediamo aiuti, ma di rivedere il quadro degli incentivi per gli investimenti proprio sull’innovazione. Le crisi attuali ci hanno portato a considerare il tema dei principi attivi dei medicinali. Ricordiamo che il 75% è di importazione in Europa, ed è ormai determinante ridurre la dipendenza. Quello che sta accadendo a Suez certo non aiuta».
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