Picasso, ritratto di un genio furbo

Annie Cohen-Solal racconta il mito Pablo, ma anche l’uomo

Pablo Picasso
Pablo Picasso
di Francesco Mannoni
Martedì 30 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 1 Maggio, 08:53
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Picasso? «Era come il mercurio: in metamorfosi, furbo, bravo, unico», proclama con impeto la scrittrice e storica francese di origine algerina Annie Cohen-Solal che al pittore spagnolo (Malaga, 25/10/1881 - Mougins, 08/04/1973) ha dedicato un’ampia biografia, Picasso. Una vita da straniero (Marsilio, pagine 640, euro 30). Leggenda dice che a 14 anni Picasso andò al Prado e fece una copia d’un ritratto di Velasquez: era più bella dell’originale. Pablo a 14 anni era già oltre Velasquez. A 20 anni, quando arrivò a Parigi, da genio un po’ spavaldo, scrisse: «Le più alte mura cedono al mio passaggio». La polizia e la soprintendenza francese già lo tenevano d’occhio. Ha vinto lui, su di loro e su tutti. A cavallo tra Ottocento e Novecento le figure frantumate create dalla sua estrosa genialità hanno imposto al mondo l’espressione di un’umanità differente, di un’estetica differente.

«Picasso è stato un artista a tempo pieno, dotato di una fantasia che irradiava nei suoi dipinti.

Ma anche un uomo di grande cuore e tenerezza», riflette la Cohen-Solal già autrice di un’importante biografia di Sartre, «come ho capito leggendo le lettere che scrisse alla madre e che la madre scrisse a lui. C’è un’intimità profonda in quelle parole, nascoste dall’immagine pubblica. Per la madre fu un duro colpo veder partire il figlio, e lui si sentiva in colpa per essere andato via: un sentimento, il rimorso, che acuì il suo ingegno». 

L’autrice ha studiato Picasso come un’antropologa: «La cultura dell’Andalusia è vicina alla mia, sono nata in Algeria: una cultura medievale in cui la famiglia è molto importante. Nel pittore oltre al genio dell’artista c’era quello dello stratega, l’amalgama dei colori della Francia e della Spagna, che abbandonò durante la guerra civile perché aveva paura di essere ucciso come il poeta Federico Garcia Lorca».

Anche la Francia non fu terra semplice per l’artista: «Picasso per parecchio tempo ha vissuto a Parigi assieme a degli anarchici catalani in una sorta di ghetto. Era controllato, su di lui venne costruito un vero e proprio dossier. Era schedato, frequentava amici spagnoli “sospetti” nel quartiere di Montmartre, e per questo la sua richiesta di naturalizzazione francese, fu rifiutata. Entrò in Francia dalla porta di servizio e poi si spalancò quella principale con l’irruenza della sua forza artistica».

Pur poco attratto dalla politica, si iscrisse al Partito comunista francese: «Quando lo fece, nel 1944, il Pcf era il partito degli eroici resistenti contro il nazismo. La tessera gli diede un triplo vantaggio: la visibilità che non aveva, il passaporto internazionale e un trampolino per la celebrità». 

L’Unione Sovietica nel 1950 e poi nel 1962 gli attribuì Il premio Stalin per la pace: «L’Urss lo sfruttò, era un simbolo conosciuto in tutto il mondo. E lui, in qualche modo, lasciò fare, dipingendo anche un ritratto - ironico, perché era contro il culto della personalità - di Stalin giovane. Glielo chiesero alla morte del dittatore, ma ai giovani del partito non piacque. Volevano buttarlo, ma il segretario si oppose dicendo: Picasso si guarda, non si butta. Con la sua arte riuscì ad imporsi anche alle regole del regime».

Periodo rosa o periodo blu? Cubis«ta o surrealista? Quel che è certo è che «Guernica» l’ha imposto come un classico del Novecento: «Fu il suo lavoro politico più importante, mise su tela l’atrocità del secolo breve».

Mogli, amanti, figli: Pablo fu anche donnaiolo impenitente e un padre poco presente: «Era nato a Malaga in Spagna in un tempo in cui le donne non andavano nei caffè, e lui era un vero uomo del Sud. Ha avuto mogli e amanti ma si è sempre occupato delle sue donne e dei suoi figli: si può dire che anche sotto il profilo amoroso abbia rimodernato la Francia che, al suo arrivo, era ancora arretrata su questo fronte». 

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