Maria Agresta al teatro San Carlo di Napoli: «Non serve urlare per cantare Napoli»

«Non punto all’acuto, rispetto i testi e le storie, la lingua mi appartiene»

Maria Agresta
Maria Agresta
di Donatella Longobardi
Venerdì 19 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 18:27
5 Minuti di Lettura

«Ho voluto cominciare così l’omaggio perché l’ho sperimentato sulla mia pelle, certe cose si capiscono stando lontano: “Se gira ‘o munno sano/ se va a cercá furtuna/ Ma quanno sponta ‘a luna/ luntano 'a Napule/ nun se po’ sta...». Maria Agresta torna a Napoli, al San Carlo, per un doppio concerto (sabato alle 19 e domenica alle 20.30) dedicato alla città. Un «Omaggio a Napoli» della celebre soprano di Vallo della Lucania, star ricercata dai maggiori teatri del mondo, che ha voluto in locandina solo canzoni napoletane accompagnate dall’orchestra del teatro diretta da Maurizio Agostini. Un recital attesissimo, tanto che è stata aggiunta una seconda recita domenica sera per rispondere alle tantissime richieste del pubblico, dove si alternano una serie di capolavori della tradizione partenopea da «Voce 'e notte» a «Maria Mari’», da «Core ‘ngrato» a «Passione», e poi «Torna a Surriento», «Silenzio cantatore», «’O sole mio». 

E dunque signora Agresta, come ha scelto questi titoli? 
«Ho voluto di proposito i brani più conosciuti, le canzoni che tutti canticchiano, perché l’obiettivo è di arrivare ad un pubblico molto vasto offrendo la mia versione di questi brani, mettendoci qualcosa di personale».

Insomma una lettura non scontata. 
«Già.

Il problema è che oggi molti cantano queste canzoni senza conoscere la loro storia, lo stile. Si canta in modo plateale, si fa l’acuto gridato qui e lì ed è fatta. Le canzoni napoletane, invece, non sono un fenomeno da baraccone, sono spesso intime e dolci. Vanno interpretate col loro carico di storie, di amori, tormenti, solitudini, malinconie... Sono cose che si capiscono vivendole. E io le vivo perché amo la mia terra e ci torno appena possibile. Da mio padre, dalla mia famiglia: non saprei farne a meno, mi serve per ricaricarmi. Casa significa silenzio, campagne fertili, un mondo dal quale da ragazza spesso volevo scappare ma che ora vedo come un piccolo paradiso, proprio come nella canzone su Santa Lucia».

Ma com'è arrivata a realizzare questo progetto? 
«C'è stato uno studio lungo e meticoloso per riportare questi testi all'originale e a una concezione ricca di emozioni, non urlata. Ci sono colori intensi, passionalità, profondità da mettere in evidenza, proprio come in uno spartito di un'opera lirica».

Lei parte avvantaggiata anche dalla conoscenza del dialetto. 
«Una lingua vera e propria! Una forma d’arte ricca di espressioni singolari che mi piace mettere in evidenza anche nel ricordo di una esperienza giovanile con Roberto De Simone quando portammo in scena “Eden teatro” per la riapertura del teatro Trianon a Napoli».

E cosa ricorda in particolare? 
«Lavorare con il maestro era una scoperta continua. Io ero appena uscita dal conservatorio e cantavo nel coro del Verdi a Salerno cominciando la mia avventura nella lirica. Abitavo a San Gregorio Armeno e nel periodo di fine anno con la fiera dei pastori c’era un'atmosfera magica. Iniziavo a imparare tutto, come si sta su un palcoscenico, i movimenti del corpo e quelli della voce. Durante le prove De Simone spesso aggiungeva qualcosa al copione, come un cuoco che inserisce un ingrediente diverso per dare un suo tocco personale al piatto. In suo omaggio ho inserito “Bammenella” nel recital del San Carlo».

Lei, però, anche in passato spesso in concerto ha inserito qualche chicca in napoletano, è così? 
«Certamente. E giusto un anno fa tenni un recital a Napoli, il coro era in agitazione, cantai col sostegno del pianoforte e inserii alcune canzoni celebri per rallegrare la serata. Sempre per sottolineare il mio legame con una terra fantastica. Questa invece sarà una full immersion: quattordici pezzi senza intervallo. Vorrei che fosse una festa per il pubblico e per la cultura di questa città. Magari un appuntamento da ripetere per allargare il repertorio anche a brani meno noti, fare una vera antologia».

E anche un cd? 
«Perché no? Sarebbe la conclusione ideale del progetto. Una testimonianza del mio lavoro di ricerca e di rivisitazione di questi classici senza tempo. Sì, mi piacerebbe che il pubblico potesse portare a casa la registrazione di queste canzoni con l’orchestra del San Carlo, un valore aggiunto all’intera operazione che ho voluto fare mettendo in gioco la mia voce che normalmente è impegnata su altri fronti».

Lei, in questi giorni, è alla Fenice di Venezia dove interpreta Margherita nel «Mefistofele» di Boito diretto da Luisotti e, contemporaneamente canta «Tosca» a Berlino. Come sta allargando il repertorio? 
«Sono sempre molto cauta e trovo il coraggio di dire di no se la cosa non mi convince del tutto. Certo, sono maturata come artista e anche vocalmente, ma resto molto esigente con me stessa. Ho capito che qualcosa era cambiato cantando “Madama Butterfly” e “Tosca”, ma vorrei non abbandonare e cantare più a lungo le mie amate Desdemona, Liù, Mimì perché amo questo lavoro e sento la responsabilità dei compositori che mi “affidano” le loro eroine». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA