Marsili, stabilità da valutare: «Atto socialmente doveroso»

Accertata la presenza di due caldere «ma non è detto che produca tsunami»

Il Marsili
Il Marsili
di Alessandro Mazzaro
Giovedì 16 Maggio 2024, 07:00
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Non è ancora possibile stabilire con certezza gli effetti sulle coste tirreniche (e salernitane) di un’eruzione del Marsili, il più grande vulcano del Mediterraneo, al centro del tratto di mare fra il Cilento e il litorale palermitano. Quel che è certo è che gli approfondimenti devono essere realizzati in tempi brevi perchè «scientificamente importante e socialmente doveroso». Lo fa sapere l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che nei giorni scorsi ha dato notizia delle ultime ricerche sul «gigante marino» anche per fare chiarezza in merito alle tante notizie allarmistiche su un possibile tsunami in caso di eruzione. Uno scenario che, è bene sottolinearlo, l’Ingv conferma e non smentisce, soprattutto alla luce del fatto che è un complesso vulcanico lungo circa 70 km e largo 30, che al momento mostra non pochi segni di attività.

Dalle ultime ricerche, infatti, è emerso che il Marsili è interessato da un’attività idrotermale e sismica. In parole povere: le acque calde e i gas come l’anidride carbonica stanno emergendo dal suo interno e si stanno anche verificando piccoli terremoti causati da crepe che si formano e si spostano nel suo strato superficiale. Non solo: altri studi recenti hanno evidenziato la presenza di due «caldere» nella parte nord del Marsili, che avrebbero anche registrato collassi laterali. Un fenomeno «conosciuto da tempo» ma che «non è detto che produca tsunami». «Frane di piccole dimensioni - fa sapere l’Ingv - non sono in grado di produrre onde anomale significative. Frane di medie dimensioni, invece, possono produrre maremoti se il loro distacco avviene in acque poco profonde». Diverso il ragionamento in caso di collassi consistenti, che avrebbero il potenziale per creare tsunami importanti. «Secondo alcuni studi recenti - si legge ancora nel dossier dell’Ingv - in tutte le simulazioni effettuate, le onde di tsunami hanno il potenziale di raggiungere in poche decine di minuti le isole Eolie e le coste tirreniche». Immaginando tale scenario, per il quale si dovrebbe essere preparati al meglio, l’Istituto elenca le azioni di ricerca fondamentali per valutare la pericolosità di tali collassi: stimare quanto sono stabili i versanti del vulcano, valutare quanta roccia potrebbe essere coinvolta nel collasso, capire come si muoverebbe la roccia lungo il pendio. E ancora: dopo aver raccolto tutte queste informazioni, verificare se il volume di roccia e il modo in cui si muove possono causare uno tsunami. Sul fronte della storia eruttiva del Marsili, fondamentale per conoscere i suoi possibili «comportamenti», si sa che le due eruzioni più recenti risalgono a 5000 e 3000 anni fa. Entrambi gli eventi, riferisce l’Ingv, sono stati a basso indice di esplosività. Nel caso in cui si verificasse una simile eruzione, quindi, lo scenario sarebbe simile a quello del 15 ottobre 2011 in occasione di un’esplosione al largo dell’Isola di El Hierro alle Canarie, quando l’unico segnale evidente è stato il galleggiamento di materiale vulcanico.

Quel che è certo è che ci sono ancora tanti aspetti del Marsili che vanno approfonditi, come conferma anche l’Ingv: «Ciò che conosciamo è ancora poco rispetto a quanto sarebbe necessario, tuttavia, nel record storico e geologico degli tsunami che hanno interessato le coste tirreniche, non vi sono evidenze di onde anomale ricollegabili a collassi laterali del Marsili».

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«Non è però detto - conclude il dossier - che nel futuro questi non si possano verificare, e quindi una valutazione della stabilità del Marsili deve essere fatta raccogliendo più dati, così come sono necessari più dati relativi all’attività sismica e deformativa del vulcano sommerso. Tale valutazione è, in termini di stima della pericolosità potenziale da tsunami, scientificamente importante e socialmente doverosa».

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