Napoli Teatro Festival, il bilancio di Cappuccio: «Troppi spettacoli? Segno di vitalità»

Napoli Teatro Festival, il bilancio di Cappuccio: «Troppi spettacoli? Segno di vitalità»
di Luciano Giannini
Sabato 14 Luglio 2018, 10:20 - Ultimo agg. 15 Luglio, 10:41
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«Non tutto è piaciuto? Meno male. Siamo ancora esseri umani. Un festival è una sfida al buio; parliamo con artisti che ci raccontano i loro sogni. Anche la prima macchina per il volo di Leonardo cadde. Di chi ne rise non v'è traccia; di Leonardo sì». Il direttore Ruggero Cappuccio fa un bilancio del Napoli Teatro Festival Italia appena concluso, e risponde alle critiche: titoli non sempre all'altezza; offerta troppo lunga, copiosa e varia; ospiti stranieri che hanno portato soltanto dei reading.

Direttore, cominciamo dalle statistiche.
«Abbiamo il record assoluto dei biglietti venduti: 30.880. Nel 2016 furono 22.522; l'anno scorso 25.553. Aggiungiamo i 15.000 acquistati per la mostra su Tomasi di Lampedusa; e i 15.000 al dopofestival, con prezzo simbolico di un euro. Se sommiamo il pubblico dei concerti gratuiti e delle altre mostre, arriviamo a 80.000. Il numero dei giovani under 30 è cresciuto dell'80 per cento rispetto a tre anni fa; tra attori, registi, tecnici e mascherine alla rassegna hanno lavorato 2033 persone; i giornalisti sono stati 214, i servizi dei tg nazionali 55. Preziose collaborazioni con gli istituti Grenoble, Cervantes e Goethe, con le rassegne di Spoleto e Ravenna».

Quanto è costata questa edizione?
«Quattro milioni e mezzo, uno e mezzo meno di quella passata. Il budget più basso in 11 anni. Eppure non esiste una Regione in Italia che impegni così tanto danaro in una manifestazione di teatro; il dato è significativo in un periodo di profonda crisi degli investimenti per la cultura».

Da esso derivano le sue scelte.
«Certo. Il mio è lavoro sociale. Come in ospedale ricevi cure gratuite o quasi, qui devi poter accedere agli spettacoli con pochi soldi. Il teatro è servizio pubblico per l'anima».

Alcuni dicono: Festival troppo lungo e ricco.
«Qualcuno si è mai lamentato del numero dei libri della biblioteca di Windsor o dei quadri esposti agli Uffizi? Un programma esteso garantisce libertà allo spettatore. Non lo condanno a vedere tutto, ma a scegliere. E, con meno titoli, che cosa direbbero le 30, 40 compagnie escluse? Io voglio garantire libertà espressiva a quanti più artisti è possibile».

 

Altro rilievo mosso: mancanza di identità.
«L'identità statica non m'interessa. La sua ricerca sì, che è, poi, desiderio di non identità. Mi sta a cuore la natura plurale dell'io, l'armonia tra identità diverse e mutevoli. Ascolto tanti artisti nel mondo e le loro esigenze interiori del momento, e lascio che si esprimano. Quanto alla coerenza tematica, il Festival non l'ha mai avuta e, quando un tema esiste, finisce per essere disatteso o quasi».

E allora?
«Dov'è la mia linea poetica? Nella partecipazione, per esempio, di 84 autori viventi, tra drammaturghi e poeti. In Italia non c'è rassegna in cui la contemporaneità sia così fortemente rappresentata. Perché? Perché la mia linea tonale è il rapporto tra solitudine e arte, l'unica forza, con il misticismo, in grado di superarla».

Parliamo di contenuti.
«Penso al rapporto col mondo arabo e con artisti, spesso rifugiati politici, che in patria non hanno nemmeno diritto di parola. In questa temperie nasce la sezione invernale del Festival, che dà parola ai quartieri disagiati di Napoli e della periferia, a compagnie escluse dalle risorse pubbliche. La mostra sul popolo Saharawi lascia intendere che ci rivolgiamo ai deboli e agli invisibili. E penso anche a Roberto Ciulli, regista assai stimato in Germania, che non riusciva a esprimersi in Italia. Invisibili sono anche i ragazzi che hanno partecipato ai laboratori con artisti prestigiosi».

I reading?
«Ma cosa avete contro una forma usata da Carmelo Bene e Strehler senza scandalo? La questione vera non se è in scena un reading, ma se ciò che si vede è bello o no. A giudicare dall'accoglienza, quello della Huppert lo è stato. Quanto a Baryshnikov, ha recitato poesie a memoria, altre le ha lette; per altre ancora ha dato spazio alla voce di Brodsky, registrata su nastro; tutto sottintendeva una precisa scelta stilistica, che è molto più di un reading».

Come ampliare il pubblico?
«Abbiamo presentato il cartellone a febbraio per facilitare la comunicazione ai clienti di alberghi e B&B. Il Ministero ha incluso il festival tra le manifestazioni da finanziare; ma non sappiamo ancora con quanti soldi. La verità è che in altri Paesi i direttori programmano di triennio in triennio, contando su risorse sicure; noi di anno in anno. Mi creda, questo festival è un miracolo».
 
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