La sfida di Maria De Medeiros: «In viaggio con Pessoa nei suoi mondi infiniti»

Maria de Medeiros porta in scena il nuovo spettacolo di Bob Wilson

I sette Pessoa di Since I've been me
I sette Pessoa di Since I've been me
di Titta Fiore
Mercoledì 1 Maggio 2024, 08:18
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I baffi sottili, il feltro nero calcato sulla fronte, gli occhiali rotondi, Maria de Medeiros è Pessoa. Il grande, enigmatico poeta portoghese Fernando Pessoa. E intorno a lei, sulla scena nera squarciata di rosso, si muovono altri simil-Pessoa, quei «molteplici sé» che prendevano corpo nella sua testa e nei suoi scritti. I suoi misteriosi e seducenti eteronimi. Parte da qui, da queste suggestioni di spazi e di luce intorno al «prisma di personalità» che abitava Pessoa, «Since I’ve been me», il nuovo e atteso spettacolo di Robert Wilson da domani al 12 maggio in prima mondiale al Teatro della Pergola di Firenze.

Nato dal progetto su «L’Attrice e l’Attore Europei» portato avanti dalla Pergola con la direzione di Marco Giorgetti e dal Théâtre de la Ville con Emmanuel Demarcy-Mota, sostenuto da una produzione internazionale, «Since I’ve been me» (vale a dire «Da quando sono io») è recitato in italiano, portoghese, francese e inglese. Nel cast, con Maria de Medeiros, Aline Belibi, Rodrigo Ferreira, Klaus Martini, Sofia Mendi, Gianfranco Poddighe e Janaina Suaudeau. «Quattro donne e tre uomini» nota in una pausa delle prove de Mederios, l’attrice portoghese che Tarantino ha voluto per «Pulp fiction», indimenticabile Eleonora Pimentel Fonseca nel film di Antonietta De Lillo «Il resto di niente»: «L’aspetto femminile è molto presente nei testi di Pessoa, penso per esempio a “Salomé”, e mi sembra interessante che Wilson abbia voluto sottolinearlo nello spettacolo».

Cosa significa per lei, portoghese, vestire in scena i panni di Pessoa?

«Ho lavorato sulle sue parole molte volte, in teatro al festival di Avignone, con diverse letture pubbliche e anni fa anche con un piccolo film da regista, ”A morte do principe”.

Pessoa per me è un infinito impegno. Perché sono infiniti i mondi che coltiva dentro di sé. Esplorarli è un’operazione affascinante».

Quale chiave ha scelto Bob Wilson?

«Ha portato in primo piano la dimensione ludica, il poeta qui è come un bambino che gioca con la memoria e con le percezioni dei suoi tanti eteronimi per metterle al servizio del suo viaggio interiore. Nella realtà Pessoa ha viaggiato solo una volta, dal Sudafrica dove era andato da ragazzo con la madre, a Lisbona, dove visse e morì. Ma quell’esperienza gli ha permesso di intraprendere un infinito viaggio interiore. Per gli altri era un anonimo impiegato senza amori, dentro di sé creava mondi e personaggi vivissimi, spesso in disaccordo tra loro. Giocava con la sua arte, come un genio bambino, come Mozart. Questi contrasti piacciono molto a Bob, gli piace sorprendere il pubblico. In fondo, c’è un bambino anche in lui».

Com’è stato l’incontro con Wilson?

«È un grande creatore di immagini, e questa dimensione prioritaria lo rende diverso dagli altri registi. Un artista unico. La luce è il suo strumento principale, nel suo teatro tutto è speciale».

Il suo, invece, è un teatro di parola?

«Sì e no, mi è sempre piaciuto far parlare il corpo. Per me i testi devono ballare, anche se si resta immobili in scena. Le parole devono farci sentire una vibrazione interna. Uno degli aspetti più seducenti del nostro spettacolo è la possibilità di recitare in lingue diverse restituendo la poesia di Pessoa con la stessa intensità».

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Questo progetto è anche un omaggio alla cultura portoghese a cinquant’anni dalla Rivoluzione dei garofani.

«Ho fatto un film su questo tema, “Capitani d’aprile”, che nel 2000 è stato presentato a Cannes, con Stefano Accorsi protagonista. Ci ho lavorato moltissimo, tredici anni per mettere insieme la coproduzione europea, e ne sono orgogliosa. La rivoluzione dei garofani è stata un’azione eroica e definitiva che ha messo fine a 48 anni di dittatura fascista e a 13 anni di una terribile guerra coloniale compiuta da giovani militari che hanno cambiato lo stato delle cose senza violenza, non per sete di potere ma per far nascere una vera democrazia. Un gesto storico e un esempio per tutta l’Europa».

Che ricordi ha del film su Eleonora Pimentel girato a Napoli?

«Era la storia di una rivoluzionaria, per giunta di origine portoghese come me, mi ha conquistata. E Napoli, con la sua magia, con la sua musica che ho cantato di recente al Trianon in uno spettacolo con Mauro Gioia, mi è rimasta nel cuore».

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