Venditti celebra i 40 anni di «Notte prima degli esami»

Ristampa con inedito, un tour e «una proposta che mi sta molto cara»

Antonello Venditti durante la presentazione delle iniziative per ''Notte Prima degli Esami 1984-2024, 40th Anniversary'' al ministero della CulturaRI
Antonello Venditti durante la presentazione delle iniziative per ''Notte Prima degli Esami 1984-2024, 40th Anniversary'' al ministero della CulturaRI
di Federico Vacalebre inviato a Roma
Mercoledì 8 Maggio 2024, 07:44
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Nel pantheon della nuova destra governativa, con Pasolini e Gramsci, spunta anche Antonello Venditti. Il primo a fare outing è il sottosegretario Gianmarco Mazzi: «Io non ero dalla parte dove stava lui, e dove, presumibilmente, sta ancora adesso, ma ho sempre amato le sue canzoni, la sua onestà autorale». Quando arriva, gli dà man forte il padrone di casa. Siamo al ministero della Cultura, in via del collegio romano e Gennaro Sangiuliano confessa: «Sono un tuo fan, per vederti da giovane a Napoli sono persino andato alla Mostra d’Oltremare: era una Festa dell’Unità, dove altrimenti non mi avrebbero certo visto».

Antonello se la gode, e fa l’appello dei maturandi dei licei Visconti e Giulio Cesare (il suo): è qui per festeggiare i primi quarant’anni di un inno intergenerazionale come «Notte prima degli esami» e del disco che la conteneva, «Cuore». Era il 1984: «Dentro c’erano otto brani, ora nella nuova versione rimasterizzata ce n’è anche una nona, inedita, “Dì una parola”, che però conoscete tutti. È una mia versione di “Say something” del duo statunitense A Great Big World con Christina Aguilera, così vendittiana che capiterà quello che è già successo con “Don’t dream it’s over”. È dei Crowded House, ma anche un po’ mia da quando è diventata “Alta marea”».

Naturalmente è pronto il tour: anteprima, già sold out, all’Arena di Verona il 19 maggio, poi tre concerti in casa (Caracalla, 18, 19 e 21 giugno), quindi un giro d’Italia tra cornici prestigiose come i templi di Paestum (18 agosto) e la reggia di Caserta (10 settembre).

Ma prima di abbandonarsi all’amarcord, e al pianoforte, e di godersi l’omaggio, il cantautore ha una battaglia da mettere sul piatto, in sintonia con l’istituzione di cui è ospite: «Vorrei vedere la musica popolare contemporanea nella Costituzione. È arte, è cultura, ci ha salvati dalla pandemia, dal terrorismo, dalla depressione, eppure nessun governo, di sinistra, di destra, di centro la riconosce. Dobbiamo portare tutta la canzone nella nostra Carta, da De André a Geolier. E fare in modo che non ci siano più tour ricchi al Nord e più poveri al Sud: quante volte abbiamo dovuto rinunciare a schermi, alla qualità dell’amplificazione per andare a suonare in Calabria o nelle isole? Il pop, il rock, il jazz e tutte le altre forme di musica meritano il rispetto che ha la classica: siamo dei senza casa, ospitati ora da uno stadio quando non si fanno le partite, ora da un teatro quando nessuno ci recita.

Riconoscere alla musica la dignità che merita è importante, facciamola entrare nella Costituzione, accanto allo sport, a tutte le arti. Più che per tutte le canzoni che ho scritto, vorrei essere ricordato per questa battaglia».

Battaglia che lui, laureato in Giurisprudenza, ha preparato con l’avvocato Luca Pardo, pensando soprattutto ai ragazzi: «Io ho dato, e posso dire che magnifica storia è la vita perché la mia vita è stata ed è una storia magnifica. Ma i giovani? Non si può ridurre la musica a Sanremo e ai talent show. Quando ho visto la cerimonia dei David mi ha preso male: perché il cinema ha un premio istituzionale e la musica no?».

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Poi è tempo di aprire il «Cuore», di ricordare come nacque quel disco uscito nel 1984: «Ero depresso, me volevo ammazza’. Ci voleva un amico, e il mio amico geniale Dalla mi riportò a Roma dalla Brianza, mi trovò una casa, io riuscii a comprarla e, appena entrato, nacquero in sequenza, “Notte prima degli esami”, “Ci vorrebbe un amico” dedicata a Lucio, e “Grazie Roma”». L’amarcord è inevitabile, ma i maturandi che cantano in coro con lui stemperano la nostalgia canaglia: «Io mi ricordo quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla...». I quattro ragazzi erano «Ernesto Bassignano, Giorgio Lo Cascio e Francesco De Gregori, ma il pianoforte spesso non c’era, ricordo una notte a Napoli, ad esempio: lì, però, c’era Pino Daniele, eravamo già diventati amici nel 1969 e lui sì che mi dava una bella mano a caricare il piano, quando c’era». Già, ma dov’era Antonellone la sua notte prima degli esami? «Andai in moto con un mio amico a Firenze, non so che cosa facemmo, ma tornammo in tempo al Giulio Cesare».

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In «Cuore» ci sono altre canzoni importanti, come «Piero e Cinzia», che si lasciarono al concerto di Bob Marley a San Siro del 27 giugno 1980. C’è «L’ottimista» che sbeffeggiava Craxi. C’è «Non è la cocaina», che non aveva la drammaticità di «Lilly». «E intorno a quei brani c’era un’altra urgenza. Oggi mi sembra tutto normalizzato, oguno protesta solo per quello che gli serve, noi eravamo internazionalisti». Così Venditti se la prende con i partiti, con la polizia che manganella gli studenti («le manifestazioni andrebbero accompagnate, il dissenso ascoltato, non represso»), l’intelligenza artificiale («se non affrontiamo subito la questione sarà padrone di noi, della nostra immagine, del nostro canto, del nostro essere. Entità sovranazionali si stanno impossessando della nostra vita»), delle guerre («ci sono sempre state ma ora ce ne accorgiamo perché ci toccano da vicino. La mia generazione aveva un'idea più globalista del mondo. Come diceva il mio mito John Lennon in “Imagine”: in un un modo senza nazioni, confini e religioni non avremmo motivi per combatterci. Chi fa la pace per primo, comunque, vince»), di libertà di stampa («la libertà di critica la cosa più bella che ci sia»).

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