L'«Autoritratto» di Zero moltiplica per mille «Quel bellissimo niente». La numerologia c'entra poco, i giochi di parole di più, come il racconto di Renato Fiacchini ed il suo alter ego. Il nuovo album del settantatreenne cantautore romano inizia con una sorta di memoir dedicato alla sua città ed al suo popolo, zerofolli o sorcini, chiamateli come volete, e poi continua con un flusso melodico, orchestrale, lirico. Parole che sono conferma e spiazzamento, replica e sorpresa, progresso e conservazione, fedeli a uno stile personalissimo e straniante, in movimento senza chiedere coerenza, che ha abbandonato la trasgressione per farsi riflessivo.
«Ricchi e famosi sì, sprovvisti di un alibi, tu lo chiami vivere»: «Ecco qui» apre la melodia, «L'avventuriero» guarda alla grande lezione della chanson francese (sarebbe piaciuta a Serge Reggiani, e anche a Franco Califano, ma è Renato Zero al 100%), si chiude con un natalizio invito alla pace («Perennemente bianco»).
Da clown struccato («non ho più bisogno di trucchi, ormai i pastelli li porto dentro»), consapevole della sua età («quella in cui di solito si cerca la badante»), Zero ha avuto voglia di farsi l'«Autoritratto» anche perché, dice, «ho perso un certo numero di amici in questi anni, cosa che mi ha tolto degli appoggi, mi ha lasciato unico responsabile della mia esistenza. Raffaella Carrà, mia vicina di casa, se ne è andata a 78 anni e io la immaginavo a 90 anni con il plaid sulle gambe a cantare ancora il Tuca tuca». Eppure, «non avrei mai immaginato di diventare quello che sono oggi, con i giovani di 16 anni che mi incontrano per strada e mi chiamano maestro».
Nell'attesa dei concerti romani e fiorentini promessi nel prossimo marzo, dal 22 dicembre arriverà nei negozi e in edicola «Mille e uno Zero», collana di 15 titoli, alcuni mai stampati prima in vinile.