James Senese festeggia 50 anni di musica al Sannazaro: «Nessuna nostalgia»

James Senese
James Senese
di Gennaro Morra
Martedì 30 Gennaio 2018, 18:19
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Mezzo secolo di musica sulle spalle sembra non pesargli per niente. Anzi, James Senese ha ancora voglia di suonare il suo sax, infaticabile, anche se è reduce da un tour di 150 tappe che l’ha portato in giro per l’Italia e l’Europa. E lo farà anche domani sera, inizio ore 21, sul palco del teatro Sannazaro per festeggiare 50 anni di carriera artistica nella sua Napoli. Un altro concerto speciale, dopo il live-recording tenuto al festival "Sorrento Incontra – M'Illumino d'Inverno 2017/18", che l’ha visto impegnato nella registrazione di un disco dal vivo di prossima uscita. Un evento, quello di domani, prodotto dalla Jesce Sole e dallo stesso Sannazaro, nell’ambito della rassegna "Sound of The City", durante il quale il pubblico potrà riascoltare brani che negli ultimi tempi il musicista aveva accantonato: “Love supreme”, “Sott’‘e lenzole”, “’Ngazzate nire”, “Hey James”, “Arò vaje”. Ovviamente, non mancheranno i grandi classici: “Campagna”, “Viecchie, mugliere, muort’ e criature”, “’O nonno mio” e “Acquaiuò l’acqua è fresca”.
 
Quella di domani sera sarà soprattutto un’occasione per celebrare un’icona della musica, non solo partenopea. Un artista che ha attraversato mode e generi diversi, riuscendo a essere sempre attuale e rimanendo se stesso: «Per la mia longevità non c'è nessun segreto. Penso che alla base di tutto ci sia la voglia di vivere e i sentimenti, quelli veri, quelli che provengono dalla parte più profonda del nostro cuore – dichiara Senese –. E poi c'è la voglia di dare al popolo una parte di vita, di emozioni che, altrimenti, non potrebbe conoscere».
 
Durante questi 50 anni lui non è cambiato, ma Napoli sì e anche tanto. Un mutamento spiegato come un fenomeno naturale: «La città cambia perché fa parte del suo destino. Tutto quello che succede, accade per un motivo preciso: io la penso così. Penso che siamo un popolo unico al mondo, un popolo ricco di buoni sentimenti, ma noi napoletani siamo anche soffocati da tanti dispiaceri, perché da una parte c'è un pezzo della nostra città che non sa come poter vivere degnamente senza compromessi. A causa di questi pochi, tutta la città ne risente, ma la colpa non è di nessuno, è una condizione che non si riesce a risolvere, è un modo di pensare troppo radicato».
 
Settantatre anni compiuti lo scorso 6 gennaio, James Senese è stato uno dei protagonisti di quel Neapolitan power sviluppatosi negli anni 70 e 80, che costituisce il momento d’oro della musica napoletana. Eppure, se gli chiedi di voltarsi un attimo e guardare indietro, i suoi occhi non si velano di malinconia: «No, non ho nessuna nostalgia perché vado al di là dello scorrere del tempo – risponde –.  Questa è la mia vera fortuna: saper prevedere, musicalmente parlando, una parte di futuro». E sulle nuove leve, che oggi cercano di replicare quel periodo florido sul piano artistico, si dice poco fiducioso: «In questa nuova generazione non credo ci sia la voglia di capire che per diventare un simbolo del popolo bisogna andare indietro con il tempo, ritornare a quei sentimenti autentici, di capire chi c’era prima e chi è rimasto dopo. Il mondo ha davvero bisogno di sentimenti veri».
 
Strano che proprio dal sassofonista italo-americano provenga tanto scetticismo sui giovani, proprio lui che diede la prima chance a un ragazzino di nome Pino Daniele, che mosse i suoi primi passi nel mondo della musica con i Napoli Centrale. Qualche anno più tardi, poi, fu Pino a ospitare James e la sua band, invitandoli a suonare in quel “Nero a metà”, album che sarebbe diventato il manifesto musicale di un’intera generazione. E quello stesso gruppo sarà presente anche domani sera sul palco del Sannazaro, con la storica formazione: Ernesto Vitolo alle tastiere, Gigi De Rienzo al basso e Agostino Marangolo alla batteria.
 
A guidarla, con la voce e il sax, ci sarà ancora una volta James Senese, che dice di guardare sempre avanti e di non avere nessuna nostalgia per il passato, ma se lo costringi a voltarsi indietro ancora una volta, un rimpianto se lo concede: «Da sempre mi porto dentro questa spaccatura: da una parte c'è la mia Napoli, ma dall’altra c’è la mia America. È un sentimento con cui convivo, un dualismo che fa parte di me – confessa –. Forse avrei fatto meglio se avessi seguito i desideri dettati dal mio DNA, magari sarebbe stato tutto più facile. Invece, sono rimasto qui e con fatica, ancora oggi, ho scelto di essere il napoletano vero che sono».
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