Il «Domino» di Malika Ayane:
«Questo disco è il mio canto libero»

Malika Ayane
Malika Ayane
di Federico Vacalebre
Lunedì 24 Settembre 2018, 15:29
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Federico Vacalebre
C’è qualcosa di nuovo oggi nella voce di Malika Ayane, anzi d’antico. Glielo dici dopo aver ascoltato «Domino», il suo decimo album, appena uscito, e lei sorride: «Che so cantare ormai lo si è capito, così posso mettere da parte l’ugola e far sentire il canto. Non sono mai stata Mariah Carey, ma adesso lo sono anche meno prima: tra l’esperienza nel musical di “Evita” e l’ispirazione che sta dietro questo disco, ho evitato le trappole vocali di noi poppettari per servire le canzoni, che mi chiedessero note bassissime o un mero recitativo». Ecco così, che ci sono pezzi che non sembrano cantati dalla stessa persona: «Sono sempre io, con le mie facce, e voci, diverse: quella della notte di troppe sigarette e troppi drink, e quella che si è svegliata la mattina in piena salute pronta a spaccare il mondo».
«Domino» come le canzoni-tessere messe in un ordine «che tutti possono cambiare, anzi no: Godard dice che i film devono avere un inizio, uno svoglimento, una fine, ma non necessariamente in questo ordine. L’ordine, però, dà il senso alla storia, e questa è la mia». La storia di un «disco di una band dei giorni nostri che suona canzoni degli anni ‘60 con strumenti degli ‘80», azzarda la definizione lei, tenendo insieme uno straordinario gusto melodico, il respiro/sospiro di un canto davvero libero, e gli orditi produttivi dei riconfermati produttori di «Naif», Axel Reinemer e Stefan Leisering dei Jazzanova: un nostalgico presente fatto di loop elettronici, bassi funk retromodernisti e reverie di pop francese: «La fortuna di essere estranea a una scena contemporanea precisa è che posso fare qualsiasi cosa. Anche perchè nemmeno una presunta scelta commerciale oggi garantisce il successo: è un momento straordinario per osare e affidarsi alla volontà di fare qualcosa di bello, perché il bello arriva», sorride, dopo aver lanciato il disco con un singolo estivo intitolato «Stracciabudella», quasi a reclamare le mani libere dalle leggi del marketing.
Voce-strumento, Malika ci regala parole che parlano del ben di vivere che nascondiamo a noi stessi: «Non usciamo» canta i difetti nascosti nei cassetti, la monotonia di un amore che deve sopravvivere ai calzini e ai pasti quotidiani, la passione che non sempre divampa e impara a darsi forme meno esplosive ma non meno potenti. In fondo, è l’argomento che sfiora anche la conclusiva «Vestito da domenica», che racconta come ogni giorno possa diventare il dì di festa, ogni abito sia adatto agli «all tomorrow parties» se ci si concede il gusto di aspettare senza chiudersi nelle proprie recriminazioni, godendosi magari i dischi jazz e i film di Hitchcock: «Dico una cosa semplice, banale, ma dovremmo concederci un giorno senza tv, senza cellulare, godendoci gli affetti, un bicchiere di vino, una persona da amare, una canzone da amare. L’Italia sembra una nazione di incazzati, ma poi è piena di persone bellissime che dispensano bellezza e passione nonostante i guai che attraversano. Nel pezzo finale, con Pacifico abbiamo steso l’elenco delle cose che si possono fare in un giorno sospeso, uno di quei giovedì pomeriggio che secondo Hugo Pratt hanno una musica malinconica che poi può trasformarsi nel sound del prossimo picco esistenziale. Ecco, ci sono i picchi e i giorni normali, quelli in cui si preparano i picchi, gli amori, le sbronze».
A trentaquattro anni, la Ayane si confessa felice, ma anche perplessa da alcune cose che le/ci girano intorno: «Se dovessero mettere in discussioni le libertà personali, visto che si è parlato di aborto in modo orribile, scenderei in piazza con il forcone. Ma un brano politico non saprei scriverlo: le canzoni servono a mettere le persone in uno stato che permetta loro di affrontare meglio le sfide quotidiane».
Ecco, «Nodi» e «Sogni tra i capelli» sono tra le canzoni che ci aiuteranno ad affrontare meglio le sfide dell’autunno prossimo venturo, cullati da una voce che profuma di incenso, che sa di intenso, che (ri)suona bene, che ha la leggerezza delle cose profonde, l’intelligenza delle cose fatte con il cuore.

Come il tour, anzi i tour, annunciati: «Stessa scaletta ma due mondi diversi. Nei teatri in quintetto con Daniele Di Gregorio alla marimba, e la sera dopo nei club sola ai synth con un chitarrista e un batterista». Si parte da Genova, per arrivare a Napoli il 21 novembre all’Augusteo e la sera dopo al Duel:Beat.

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