«Il castello di Barbablù» e «La voce umana» al San Carlo: «Tra Bartok e Poulenc le vittime sono donne»

Krzysztof Warlikowski sintetizza il senso della sua regia per il dittico

Da sinistra,Warlikowski, Garanca, Relyea, Gardner, Hannigan e e Lissner
Da sinistra,Warlikowski, Garanca, Relyea, Gardner, Hannigan e e Lissner
di Donatella Longobardi
Martedì 21 Maggio 2024, 07:12
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«Sì, sono due mondi difficili da connettere, due storie molto moderne di due donne vittime dei loro partner. Io ho tentato di costruire un ponte tra le due con uno spettacolo realizzato con un unico impianto scenico, una sfida entusiasmante perché insieme, una di seguito all’altra, le opere diventano un solo spettacolo». Krzysztof Warlikowski sintetizza così il senso della sua regia per il dittico composto da «Il Castello di Barbablù» di Béla Bartók con John Relyea e Elīna Garanča e «La voce umana» di Francis Poulenc con la voce di Barbara Hannigan che il San Carlo propone da venerdì (ore 20, quasi due ore senza intervallo) con quattro recite fino al 30 maggio. Sul podio, Edward Gardner.

«Nei miei sette anni a Parigi questo è stato uno degli spettacoli più importanti e riusciti, per questo ho voluto riproporlo a Napoli», ha spiegato il sovrintendente Stéphane Lissner nel corso di un incontro con i protagonisti. Protagonisti come la Garanča che affronta ora per la prima volta il ruolo di Judith e confessa di «non dormire la notte» tanto il peso di affrontare quest'opera. «E non solo per le difficoltà di cantare in una lingua difficilissima come l’ungherese», dice il celebre mezzosoprano che negli ultimi tempi ha spesso calcato le scene sancarliane ed è stata molto applaudita nel «Don Carlo» due anni fa. «È un ruolo psicologicamente molto difficile, è come un viaggio nell'animo femminile ma per fortuna la musica è bellissima e trascinante e mi ha fatto innamorare», insiste la cantante che racconta di affidarsi molto alla complicità con Relyea che interpreta Barbablù da 22 anni, una figura, spiega il celebre basso, «che mette in luce il lato oscuro che c'è in ogni uomo, una figura che deve far emergere sentimenti crudi e forti, molto complessi».

E un ruolo complesso è anche quello della «lei» di Poulenc che la Hannigan aveva interpretato in questo stesso allestimento al suo debutto all'Opèra nel 2015: «In fondo ognuno di noi capisce la sua verità e per questo è importante che il regista abbia dato spazio ad ognuno di noi in modo da poterci esprimere con libertà, in fondo non è importante la precisione scenica ma la ricerca del sentimento e un rapporto molto stretto con il direttore dal podio che segue le sue pause», nota il soprano canadese che è anche direttore d’orchestra e in Francia ha portato in scena l’opera in una versione molto particolare cantando e dirigendo contemporaneamente.

«Lei», d’altronde è una donna che in una notte difficile diventa un'altra vittima di Barbablù e lo uccide. Quindi non c’è più l’ultima conversazione al telefono con il suo ex amante. Ma, come previsto dal libretto, si ascolta solo la sua voce, non quella di lui. «Lei» lo supplica di tornare, ma ormai è tardi. «Ed in questo contesto l’orchestra è protagonista anche se le due opere musicalmente sono molto lontane, rappresentanti di due mondi», spiega Gardner: «Perché la bellezza della parabola disegnata da Bartòk tutta in crescendo si coniuga con la condizione solitaria di Elle in Poulenc».

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«In fondo la differenza tra le due opere e tra le due donne sta anche nelle epoche in cui sono state composte: con Bartòk siamo a inizio Novecento e a quei tempi esistevano ancora convenzioni molto strette a proposito del mondo femminile. Con Poulenc invece siamo nel 1959 quando era già iniziato il movimento di liberazione della donna che conosciamo oggi, tanto che il musicista la mette a nudo di fronte alla drammatica realtà quella di un uomo che è un mostro e di una “Lei” che può essere una chiunque donna borghese», osserva Warlikowski già creatore e direttore artistico del Nowy Teatr di Varsavia e attivo anche nel campo della lirica. «Partiamo da un universo quasi proustiano fino a toccare sensibilità contemporanee con un omaggio a Cocteau e alla sua versione cinematografica di “La bella e la bestia” proiettata su una parete-schermo, lo stesso Cocteau autore del testo di “La voce umana”», aggiunge il regista che da tempo ha scelto di vivere a Palermo ed è un po’ spaventato dall’accoglienza che potrebbe riservare il pubblico napoletano ad un testo così complesso: «Va tutelato il ruolo della cultura in Italia. Finiti i Fellini e i Pasolini non ci sono più intellettuali di respiro europeo, e il pubblico è monocromatico. Oggi purtroppo a Roma si fa solo business e gli artisti spariscono, ma senza cultura l'Italia rischia di restare solo un cumulo di vecchie pietre».

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