Luzi e Bellino firmano Il cratere: «Il sogno neomelodico? Questione di riscatto»

Luzi e Bellino firmano Il cratere: «Il sogno neomelodico? Questione di riscatto»
Martedì 10 Aprile 2018, 09:15 - Ultimo agg. 09:41
4 Minuti di Lettura
«Dopo tanti film pieni di effetti speciali e con dispiego di mezzi enormi, voi mi avete fatto piangere con due attori in una stanza», così Tommy Lee Jones, presidente della giuria del trentesimo Tokyo International Film Festival, ha celebrato il valore emotivo di «Il cratere», assegnandogli il premio speciale della giuria della manifestazione. Un riconoscimento prestigioso, che testimonia la qualità dell’esordio nel cinema di finzione della coppia di documentaristi formata da Silvia Luzi e dal salernitano Luca Bellino (40 anni compiuti giusto ieri). «Il cratere» ha avuto la sua anteprima mondiale alla scorsa Mostra di Venezia, dove era stato presentato in concorso alla Settimana della Critica e, dopo il prestigioso riconoscimento internazionale, arriva giovedì in sala.

Luzi e Bellino, del film sono registi, sceneggiatori (con la collaborazione di Rosario Caroccia), produttori (con la loro TFilm e in collaborazione con Rai Cinema), anche direttori della fotografia, curatori del suono in presa diretta, montatori. Hanno lavorato a lungo prima di poter cominciare le riprese, che ci fanno entrare nel mondo delle giovani speranze della canzone neomelodica, fatto di genitori che investono soldi e tempo sui figli, nella speranza di un successo costruito tra sale di registrazione, studi di televisioni locali, feste dove esibirsi e cd autoprodotti artigianalmente.

Protagonisti del film sono due attori non professionisti: la tredicenne Sharon (Sharon Caroccia) e suo padre Rosario (Rosario Caroccia), un venditore ambulante che si guadagna da vivere girando per le feste di piazza con un camion carico di peluche messi in palio con la lotteria. Rosario, costretto a fare i salti mortali per far quadrare il bilancio famigliare, è pronto ad ogni sacrificio pur di cercare un riscatto grazie al talento canoro della figlia, talento peraltro ancora grezzo e da educare. Sharon (che è una promessa neomelodica anche nella vita) ha però le normali intemperanze e le piccole rivolte di ogni ragazzina della sua età, tra i due lo scontro è continuo ed è seguito in primissimo piano dalla macchina da presa di Luzi e Bellino.
 
«L’idea del film risale ormai a più di tre anni fa», racconta Bellino: «Volevamo raccontare il desiderio di un padre di riscattarsi attraverso la figlia. Un fenomeno che accade in tutto il mondo: dallo sport alla danza, o alla musica classica. Non volevamo narrare un padre sfruttatore che pensa ad arricchirsi sfruttando i figli, tanto che lo spunto è nato quando abbiamo visto un vecchio filmato di Federica Pellegrini che non riusciva a tuffarsi in piscina in preda a una crisi di panico e c’era suo padre che la incitava». 

Il film si è agganciato alla realtà dopo un lunghissimo casting tra Napoli e Caserta: «Volevamo che l’elemento di realtà fosse preponderante, ma dovevamo avere una sceneggiatura già scritta, che è poi diventata il canovaccio su cui lavorare», spiega Luzi, «Rosario è accreditato con noi nella sceneggiatura perché ha riscritto lui stesso parte dei suoi monologhi e ha avuto idee di sceneggiatura, come quella di metterci a disposizione i filmati che aveva fatto a sua figlia fin da quanto lei ha cominciato a cantare a soli 4 anni».

«Per tre mesi abbiamo fatto casting nelle tv private e nelle sale di registrazione, visionando tantissime famiglie, poi però abbiamo incontrato Sharon e Rosario», ricorda Bellino, «lei era a una festa di paese e cantava davanti al camion di pupazzi di peluche del padre, per attirare potenziali acquirenti. È stato subito chiaro che era lei che cercavamo». Da quel momento è iniziata una lavorazione lunghissima («liquida» la definisce Luzi): «Abbiamo passato due o tre mesi a preparare Rosario e Sharon (che non solo non aveva mai recitato, ma non aveva nemmeno mai messo piede in una sala cinematografica in vita sua, prima della proiezione a Venezia) e poi altri quattro mesi di riprese – racconta Bellino – provavamo ogni scena per tre o quattro giorni prima di girare, discutendola con loro. Abbiamo anche girato il film in sequenza, in modo che l’emozione crescesse spontanea durante la lavorazione». 

Un lavoro sui caratteri che, conclude Luzi, «è stato complesso perché entrambi hanno dovuto recitare contro la loro indole: Sharon è vulcanica e gioviale, mentre il suo personaggio doveva essere cupo e parlare poco. Con Rosario, invece, abbiamo dovuto tirare fuori la sua rabbia nascosta. Alla fine era così entrato nel ruolo che era lui stesso a dare lo “stop” e dire “questa la posso rifare meglio”».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA