La leggenda delle Manifatture Sigaro Toscano: da fumare con tutti i sensi

La leggenda delle Manifatture Sigaro Toscano: da fumare con tutti i sensi
di Carla Errico
Lunedì 26 Novembre 2018, 10:25
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Inviata a Cava de' Tirreni

Caffè, limoncello, cioccolato, grappa, mojito... E naturalmente il tabacco con i suoi effluvi cangianti dal fresco all'aspro nelle varie fasi di lavorazione. I profumi s'inseguono da uno stanzone all'altro dell'azienda. Fuori, oltre le vetrate che guardano dritto al cuore di Cava de' Tirreni, odori zero. Giusto qualche sbuffo di fumo chiaro, a riavvolgere il fil rouge che lega la città alla sua storica manifattura. La fabbrica dei sigari è qui, appollaiata tra la collina col castello di Sant'Adiutore, l'autostrada Napoli-Salerno e, dall'altro lato, la statale 18 che lambisce il borgo medievale Scacciaventi. È nel centro di Cava e nessuno si sogna di sfrattarla - come accade altrove - perché non puzza e non inquina. Anzi, perpetua in versione green la tradizione industriale della piccola Svizzera, come un tempo veniva chiamato il secondo comune salernitano. Senza trascurare il dettaglio che dà lavoro a 110 persone, più l'indotto delle aziende fornitrici e di trasporto. Vent'anni fa Cava issò barricate e manifestò con le fumate in piazza del sigaro day contro gli allora proprietari che volevano chiudere lo stabilimento. Oggi, la città dei portici sente come sua la festa che Manifatture Sigaro Toscano - il marchio con cui un pool di imprenditori italiani guidati dal Gruppo industriale Maccaferri rileva nel 2006 lo stabilimento dalla British Americano Tobacco - dedica ai duecento anni di storia del sigaro più celebre e celebrato del mondo.

Il bicentenario si festeggia a più tappe, e a cavallo tra storia e futuro. L'altro ieri, a Milano, è stato presentato in anteprima il libro con 350 foto in cui Oliviero Toscani immortala le facce degli operai che lavorano il sigaro alle macchine, ricalcando in versione aggiornata il gesto sapiente delle antiche sigaraie. Una chicca che si aggiunge alle produzioni speciali del Toscano 200 - fatto a mano in 200mila pezzi di 200 millimetri ciascuno - e del Toscano Sementa, realizzato con semi non più utilizzati e ritrovati nei laboratori universitari. Ai primi del 2019, invece, è previsto il lancio di un nuovo sigaro: si chiamerà Mazzini, seguendo la scia delle dediche a fumatori eccellenti (Garibaldi, Modigliani, Soldati...) e, chissà, forse anche in omaggio ad una personalità che unisce il Paese. Un po' come il sigaro.

Duecento anni, mica bruscolini. «Poche attività in Italia vantano tanta longevità» annota Pierfrancesco Saccotelli, direttore commerciale di Mst. Risale al 1818 la prima commercializzazione del Toscano, nato tre anni prima da un imprevisto trasformato in fortuna imprenditoriale. Un acquazzone bagna a Firenze un carico di tabacco, vuole la leggenda, e anziché buttarlo in Arno si decide di provare a salvarlo facendolo asciugare al sole. L'essiccazione e la fermentazione che ne deriva regalano fragranza al tabacco, e uno straordinario successo di pubblico ai sigari poverelli che ne vengono confezionati. È così che il Toscano diventa il must del made in Italy che è tuttora. Duecento anni dopo, l'avventura del tabacco bagnato per caso si consolida in Italia come caso d'impresa e all'estero come brand da esportazione. I sigari continuano a fabbricarli, alla maniera ecologica delle antiche sigaraie, a Cava de' Tirreni, come ai tempi di Gioacchino Murat, e a Lucca, come all'epoca del Granducato. Le due manifatture di un'Italia preunitaria oggi viaggiano di conserva. Al ritmo di 170 milioni di pezzi l'anno, di cui 30 milioni venduti in 65 paesi esteri. Perché, spiega il manager Saccotelli, «avendo raggiunto il traguardo di mantenere e consolidare quote di mercato in Italia dove siamo ormai al 95% della produzione, l'obiettivo è aggredire l'export». Quattro milioni di Toscano vanno in Turchia, terra di fumatori di narghilè e prima nazione importatrice, quindi Spagna, Francia, Germania e naturalmente gli Stati Uniti da cui proviene una quota del tabacco Kentucky da cui si lavorano i sigari. «Utilizziamo anche tabacco italiano coltivato in cinque regioni: in Campania nel Beneventano, quindi in Lazio, Umbria, Toscana, Veneto», conta il direttore commerciale. Si viaggia di conserva, produzione diversificata. A Lucca i sigari lunghi tra cui il famoso Garibaldi, che deve il nome ad un'intuizione suggerita da Mario Soldati durante una delle sue visite a Cava. Lo stabilimento cavese, guidato con passione da Raffaele Esposito - siamo un'azienda etica, non si stanca di sottolineare - invece realizza prevalentemente (ma non solo) Ammezzati. E guarda al futuro: i sigari aromatizzati che produce incontrano crescente favore tra i giovani consumatori. Boccata più leggera e linea cocktail, all'aroma di caffè, limoncello, cioccolato, grappa, mojito... e altre fragranze tutte da indovinare al fiuto, giacché per legge è vietato indicarle sulla confezione, che lascia dunque solo intuire cosa si nasconda dietro i colori del Toscanello rosso, giallo, nero, bianco, blu, costiera, rosso raffinato, bianco raffinato e castano raffinato. Un arcobaleno di profumi, seguendo la pista del tabacco affumicato e curato come duecento anni fa.
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